Monsanto non potrà fare ricorso in appello contro la sentenza che la condanna a risarcire un cittadino ammalatosi dopo una lunga esposizione al glifosato.
Decine di migliaia di processi e spese legali colossali potrebbero convincere Bayer a smettere di produrre il Roundup, erbicida a base di glifosato.
“A meno di cambiamenti, dovremo smettere di produrre glifosato, perché non è semplicemente più fattibile”. La dichiarazione è arrivata inaspettata e non ha ricevuto una grandissima eco mediatica. Eppure, rappresenta potenzialmente una svolta epocale. Le parole in questione sono state pronunciate infatti da Bill Anderson, presidente di Bayer, azienda che dal 2018 produce il Roundup dopo averne rilevato il business dall’americana Monsanto. Parliamo di un erbicida tra i più venduti al mondo, la cui formulazione si basa proprio sul glifosato. Sostanza che lo Iarc, organismo che fa capo all’Organizzazione mondiale della sanità, dal 2015 considera il glifosato come una molecola “probabilmente cancerogena“. Ciò nonostante, nel 2023 la sua commercializzazione è stata riautorizzata in Europa per dieci anni.
Il motivo del cambiamento di rotta paventato dal dirigente del colosso tedesco è che la mobilitazione dal basso ha posto talmente sotto pressione l’azienda da rendere insostenibile la produzione. Da anni, infatti, sono state avviate dapprima qualche decina, poi centinaia e oggi ormai decine di migliaia di azioni legali in tutto il mondo, da parte di persone malate che accusano la multinazionale di non aver avvertito in maniera corretta sui rischi legati all’uso di glifosato. Un peso divenuto ormai tale da schiacciare perfino un gigante come Bayer.
Il gruppo ha registrato nel secondo trimestre del 2025 una perdita netta pari a 199 milioni di euro: un dato che rispetto allo stesso periodo dello scorso anno risulta moltiplicato per sei. I costi legati alle procedure giudiziarie sono d’altra parte colossali: si tratta di far fronte a oltre 67mila processi in corso, dopo che più di 10 miliardi di dollari sono stati già versati per quelli ormai chiusi.
Una situazione che già oggi porta per lo meno a una conclusione economica: l’acquisizione di Monsanto è stata un disastro per Bayer, che all’epoca sborsò la bellezza di 63 miliardi di dollari. Cifre che, col senno di poi, mostrano fino a che punto l’azienda tedesca avesse sottostimato non soltanto i danni d’immagine legati all’operazione (Monsanto era già considerata da tempo come una delle imprese più controverse al mondo), ma soprattutto le conseguenze delle patologie che si sospetta siano state provocate proprio dal glifosato.
Così, rispetto al 2015, il valore in Borsa di Bayer è crollato di circa l’80 per cento. E il presidente di allora, Werner Wenning, deus ex machina dell’operazione-Monsanto, è stato costretto alle dimissioni nel 2020, lasciando il posto proprio a Anderson. Che però, in cinque anni, non è riuscito a sciogliere la matassa, e potrebbe decidere, appunto, di arrendersi.
L’obiettivo, ha spiegato il presidente in carica nel corso di una conferenza il 6 agosto, è di “ridurre significativamente il rischio giuridico di qui al 2026”, riferisce il quotidiano francese Novethic. A conferma del fatto che sono proprio le innumerevoli azioni legali a preoccupare la dirigenza. Basti pensare che sono stati già accantonati 1,2 miliardi di euro per coprire le spese legali, stimate però già in 5,7 miliardi.
Una situazione che si sta inoltre riverberando sugli anelli più deboli della catena: Bayer prevede una riorganizzazione interna che si tradurrà nel licenziamento di 12mila persone in tutto il mondo.
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