Bielorussia. Condanne fino a 11 anni per gli organizzatori delle proteste contro il regime

Maria Kalesnikava e Maxim Znak, in prima linea nelle proteste del 2020 contro il regime bielorusso, sono stati condannati per estremismo e attacco allo stato.

Un tribunale bielorusso ha condannato a undici anni di carcere Maria Kalesnikava, una delle principali oppositrici politiche al presidente Alexander Lukashenko. La donna, tra le organizzatrici delle manifestazioni che durante il 2020 hanno messo in discussione il regime, era stata arrestata nel settembre scorso con l’accusa di estremismo e attacco allo stato. Maxim Znak, avvocato e figura di spicco nei movimenti di opposizione, ha invece subito una condanna a dieci anni. La lotta di Lukashenko al dissenso va così avanti senza sosta, dopo il dirottamento dell’aereo e l’arresto della scorsa primavera del giornalista critico Roman Protasevich.

Maria Kalesnikava durante una manifestazione di agosto 2020 contro il regime bielorusso
Maria Kalesnikava durante una manifestazione di agosto 2020 contro il regime bielorusso © Misha Friedman/Getty Images

Chi sono Maria Kalesnikava e Maxim Znak

Kalesnikava e Znak facevano parte dello staff elettorale di Viktar Babaryka, un ex banchiere che voleva sfidare Alexander Lukashenko alle scorse elezioni ma che è stato arrestato poco prima del voto con l’accusa di riciclaggio di denaro e condannato a 14 anni. A quel punto Kalesnikava e Znak hanno supportato la candidata di opposizione Svetlana Tikhanovskaya, sconfitta in un’elezione definita truccata e poi fuggita in Lituania per timore di rappresaglie del regime. 

I due sono invece rimasti in Bielorussia per contestare i risultati elettorali e organizzare le proteste delle popolazione. Le manifestazioni che nell’estate del 2020 hanno portato in piazza centinaia di migliaia di persone avevano Kalesnikava e Znak tra gli organizzatori e la donna, nel day after elettorale, aveva anche dichiarato di essere pronta a fondare un suo partito con cui sfidare il presidente Lukashenko quando sarà tempo di tornare alle urne.  

Nel settembre del 2020 sono stati arrestati in circostanze oscure. Secondo le ricostruzioni, la Kalesnikava sarebbe stata rapita in pieno giorno a Minsk, incappucciata e portata al confine con l’intento di espellerla dal paese. Davanti al suo rifiuto sarebbe poi stata portata in un carcere, dove si trova ormai un anno e dove secondo la sentenza delle scorse ore dovrà restare per altri undici. Una sorte simile a quella di Maxim Znak, condannato a dieci anni, che durante la lettura della sentenza si è detto felice della folta presenza di giornalisti, così che le loro storie possano fare il giro del mondo.

La lotta al dissenso in Bielorussia non si ferma

L’Unione Europea ha alzato la voce per chiedere la scarcerazione dei due attivisti politici. In una nota, si condanna “la continua palese mancanza di rispetto da parte del regime di Minsk nei confronti dei diritti umani e delle libertà fondamentali del popolo bielorusso” e si chiede “il rilascio immediato e incondizionato di tutti i prigionieri politici”, parlando di “processo farsa” a carico di Kalesnikava e Znak. I due oppositori sono però solo le ultime vittime di una tornata di purghe che va avanti più o meno da quando esiste il regime di Lukashenko, negli anni Novanta, ma che negli ultimi mesi ha vissuto una forte intensificazione.

In primavera un aereo della compagnia irlandese Ryanair, partito da Atene e diretto a Vilnius, è stato dirottato a Minsk per arrestare il giornalista bielorusso Roman Protasevich, considerato scomodo per le sue critiche al regime. Il mese scorso invece l’atleta bielorussa Krystsina Tsimanouskaya doveva essere rimpatriata contro la sua volontà nel suo paese nel bel mezzo delle Olimpiadi di Tokyo, per aver criticato pubblicamente le scelte della federazione di Minsk. Solo l’intervento del Comitato olimpico internazionale ha evitato il peggio. Ma in generale la quotidianità in Bielorussa scorre tra continui arresti e intimidazioni, così frequenti da essere ormai diventati la nuova normalità.

Alla fine di agosto più di 20 persone tra avvocati, oppositori politici e figure diplomatiche sono stati fermati in relazione alle proprie attività durante le scorse elezioni presidenziali. A luglio tre giornalisti di un giornale indipendente e quindi distante dal regime sono stati arrestati, facendo salire a 32 il numero di giornalisti presi in custodia nel giro di poche settimane. E in manette continua a finire anche chi partecipa alle manifestazioni che di tanto in tanto colorano le città. Una situazione drammatica e per cui non si vede la luce in fondo al tunnel, che va avanti imperterrita in un continente, l’Europa, descritto come culla di democrazia e di diritti.

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