Il messaggio di Bill McKibben: “Il riscaldamento globale è un negoziato con la fisica, ma la fisica non fa compromessi”

Bill McKibben, ambientalista americano, autore e fondatore di 350.org, fu tra i primi ad avvertire il mondo – trent’anni fa – del pericolo dei cambiamenti climatici. In questa intervista ci parla delle diverse dinamiche in gioco, e della lotta per un futuro sicuro e sostenibile.

Trent’anni fa, Bill McKibben ci ha avvertito della minaccia dei cambiamenti climatici. Nel 1989 ha pubblicato un libro rivoluzionario: La fine della natura. È considerato il primo libro sui cambiamenti climatici per i non-addetti ai lavori. Oggi vuole ampliare il suo avvertimento. Gli esseri umani ora sono diventati una “forza geologica distruttiva“, scrive McKibben nel suo ultimo libro, Falter. Il degrado dei sistemi fisici del pianeta è ora una realtà, non più una semplice teoria come ai tempi della pubblicazione de La fine della natura.

SL Shanth Kumar, vincitore del Environmental Photographer of the Year
Inondazione non una baraccopoli di Mumbai © SL Shanth Kumar

Dunque le domande sorgono spontanee. Come siamo arrivati a questo punto? “Beh, gli essere umani sono sempre stati minuscoli a confronto delle grandi forze del mondo naturale che li circonda”, spiega McKibben a LifeGate. “In un certo senso, è parte di ciò che significa essere umani, ma a un certo punto nello scorso secolo le cose hanno iniziato a cambiare: gli umani hanno iniziato a diventare grandi, molto velocemente, inizialmente con il potere di utilizzare armi nucleari. Oppenheimer, osservando la prima esplosione nucleare, disse – citando dal Bhagavad-Gita, un libro sacro indiano: “Sono diventato Morte, il distruttore di mondi”. E ora, attraverso i cambiamenti climatici, gli umani stanno cambiando ogni centimetro del pianeta. Stiamo sciogliendo le più grandi distese di ghiaccio. Stiamo cambiando la composizione chimica dell’acqua negli oceani. Stiamo alterando il funzionamento del ciclo idrologico dell’intero pianeta. Siamo accorciando le stagioni, come l’inverno, e allungando la stagione degli incendi. Stiamo facendo crescere il livello del mare. Dinne una. Ora la colpa è nostra”.

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Un’epoca di contrazione

Per usare la metafora adottata da McKibben nel suo libro, il gioco umano ha iniziato a perdere il controllo e ora il campo è sempre più piccolo. Per secoli gli umani hanno espanso il loro dominio, hanno conquistato nuove terre e scoperto nuovi territori, spesso distruggendo ciò che hanno trovato quando sono arrivati. Basti pensare alla colonizzazione del cosiddetto Nuovo mondo e allo sterminio degli indigeni che vivevano in quelle terre quando gli europei sbarcarono in America sulla rotta che pensavano li avrebbe portati in Asia. Ma ora sembra che non ci sia più spazio. La specie umana sta vivendo una contrazione.

© Eliud Gil Samaniego, Polluted New Year - Mexicali, Baja California. Il 1° gennaio 2018 Mexicali è stata una delle città più inquinate del mondo.
© Eliud Gil Samaniego, Polluted New Year – Mexicali, Baja California. Il 1° gennaio 2018 Mexicali è stata una delle città più inquinate del mondo.

“Siamo abituati all’idea che gli esseri umani continuano a espandersi verso nuovi territori. E, per la maggior parte della storia umana, è quello che abbiamo fatto”, dice McKibben. “Ora, chiaramente, sta iniziando ad accadere l’opposto. Le città costali stanno diventando più difficili da difendere dall’innalzamento degli oceani. I deserti si stanno estendendo, e sta diventando talmente caldo in certi posti che è chiaro che chi ci vive dovrà spostarsi. Il problema vero è: dove si sposteranno? È per questo che coloro che si preoccupano della guerra e della pace osservano i cambiamenti climatici con inquietudine. Le Nazioni Unite stimano che i rifugiati per il clima rischiano di raggiungere un miliardo entro la fine del secolo. È difficile anche solo immaginare cosa succederà”.

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La disuguaglianza peggiora per colpa della crisi climatica

Gli impatti crescenti del riscaldamento globale nelle zone più popolose del mondo potrebbe creare oltre 140 milioni di rifugiati entro il 2050 “creando una crisi umana incombente e minacciando il processo di sviluppo”, si legge in un rapporto della Banca mondiale pubblicato nel 2018. Questi rifugiati climatici si aggiungerebbero a milioni di persone che già si spostano per motivi economici, sociali e politici, avverte il rapporto. In questo senso, è impossibile osservare i cambiamenti climatici senza considerare l’elemento dell’ineguaglianza. Questo fenomeno continuerà a peggiorare. “Se si osserva il pianeta oggi, le temperature e le disuguaglianze sono le due cose che stanno crescendo di più, e queste due anomalie statistiche straordinarie sono intrecciate in modo fitto”, afferma McKibben. “I cambiamenti climatici sono estremamente iniqui. La legge ferrea dei cambiamenti climatici è: quanto meno hai fatto per causarli, più verrai colpito, e più in fretta”.

© Amdad Hossain, Sleep Fatigue. Una donna dorme tra i rifiuti sulla rive del fiume Dhaka in Bangladesh.
© Amdad Hossain, Sleep Fatigue. Una donna dorme tra i rifiuti sulla rive del fiume Dhaka in Bangladesh.

I cambiamenti climatici non sono solo una questione di fisica

McKibben scrive in Falter che “i cambiamenti climatici sono un negoziato tra gli esseri umani e la fisica, e la fisica non fa compromessi. Passato una certa soglia, non ci sono più margini di manovra”. Ma i cambiamenti climatici non sono soltanto un fenomeno fisico. Secondo un rapporto pubblicato nel 2017, le condizioni meteorologiche estreme, combinate agli impatti sulla salute delle emissioni causate dai combustibili fossili, hanno causato almeno 240 miliardi di dollari all’anno di danni e di perdita all’economia statunitense, negli ultimi dieci anni. Il costo dei cambiamenti climatici a livello mondiale ammonta a 1,2 trilioni di dollari annui, ovvero l’1,6 per cento del prodotto interno lordo del pianeta. E la scienza è chiara: anche l’industria fossile fa fatica a negarla.

Dunque su cosa ci si dibatte davvero? “Credo che dopo aver scritto La fine della natura fossi convinto che ci trovassimo al centro di un dibattito sui cambiamenti climatici, e che servissero più libri e articoli. Ma a un certo punto mi fu chiaro che la discussione era chiusa da un pezzo, perché tra gli scienziati c’era già un consenso robusto su cosa stesse succedendo”, spiega McKibben. “Avevamo vinto il dibattito, ma stavamo perdendo la battaglia perché la battaglia ha a che fare coi soldi e l’industria fossile ne ha a non finire. Dunque il lavoro svolto negli ultimi dieci anni è stato finalizzato a costruire un movimento che avesse un potere in grado di bilanciare le forze in campo, un potere che ovviamente non può dipende dai soldi. Mai spenderemo più di Exxon. Dunque dobbiamo concentrarci su altre cose che hanno valore per gli esseri umani: la passione, lo spirito, la creatività, e a volte anche la volontà di rischiare e finire in prigione”.

Bill McKibben, scrittore fondatore 350.org ritratto
Bill McKibben ha fondato 350.org nel 2008 © Nancy Battaglia/350.org

Le battaglie di 350.org

L’appello ad agire è forte e urgente. Per salvare la Terra e l’umanità dobbiamo investire in una mobilitazione pacifica creando un movimento non violento. McKibben ha fondato 350.org, un’organizzazione internazionale creata nel 2008 per combattere la crisi climatica. Il suo obiettivo è completare la transizione dai combustibili fossili alle energie rinnovabili attraverso un movimento popolare e globale. Il nome deriva dalle 350 parti per milione di anidride carbonica nell’atmosfera che rappresentavano il limite di sicurezza [oggi siamo a quota 407,8 ppm, ndr].

Sebbene 350.org non abbia ancora sconfitto l’industria fossile, ha organizzato manifestazioni in tutte le nazioni del mondo (tranne la Corea del Nord), e ha vinto molte battaglie.

“Il movimento di disinvestimento che abbiamo iniziato sei anni fa ha ormai superato 11 trilioni di dollari in fondi e dotazioni che hanno ceduto i propri investimenti nelle fossili. Nel rapporto annuale di Shell si legge che quest’anno veniamo identificati come un rischio materiale per il loro business. L’opposizione ai combustibili fossili è iniziata con l’oleodotto Keystone e si è trasformata in un enorme movimento globale che combatte ogni nuovo tipo di minatore. Vinceremo questa lotta. Ma la vera domanda è: la vinceremo in tempo?”, chiede McKibben.

I cambiamenti climatici sono una prova a tempo. E devo dire che, per il momento, non stiamo vincendo in tempo. La nostra traiettoria resta impossibile. Distruggeremo il pianeta prima di riuscire a salvarlo. È per questo che sembra tutto così urgente. Ma l’ultimo mese ci ha offerto una specie di speranza: vedere milioni e milioni di persone, giovani e adulti, in sciopero per il clima è la più grande indicazione che i movimenti che stiamo costruendo da un decennio a questa parte stanno finalmente avendo effetto”.

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Palloncino “There is no planet B” alla marcia sul clima di New York, 20 settembre © Stella Levantesi / LifeGate

Mobilitazione collettiva o azioni individuali?

Sembra che l’unico modo di combattere i cambiamenti climatici e le forze politiche ed economiche che ci stanno dietro sia di privilegiare la mobilitazione collettiva. Si è parlato molto negli ultimi anni di ciò che un individuo può fare nella vita di tutti i giorni per combattere i cambiamenti climatici. Per questo è importante capire quanto siano importanti le azioni individuali in confronto al mantenimento di una mobilitazione collettiva. 

“Credo che le azioni individuali siano davvero importanti, e spero che ognuno stia facendo il possibile”, esorta McKibben. “Oggi faccio centinaia di discorsi via Skype per evitare di volare quando non serve e la mia casa è ricoperta di pannelli solari: ne sono orgoglioso, ma non cerco di convincermi che è così che risolveremo il problema a livello mondiale. Abbiamo iniziato troppo tardi, non è una questione che sarà risolta una Prius alla volta. La cosa più importante che può fare un individuo è di essere un po’ meno individualista, unendosi ad altri nel creare movimenti che ci permetteranno di sfidare davvero l’immobilismo politico ed economico che ancora domina il mondo”.

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La prima fila del corteo durante lo sciopero per il clima di New York, Xiye Bastida di Fridays for Future tiene in mano il megafono © Stella Levantesi / LifeGate

Quali saranno i prossimi passi? 350.org sembra avere una missione ambiziosa: affrontare le banche e le istituzioni che finanziano l’industria fossile e promuovere un Green new deal negli Stati Uniti e nel resto del mondo.

Quale futuro per noi e per questo movimento? “Credo che continuerà ad avanzare. Continuerà perché sono certo che Madre Natura continuerà a ricordarci dei guai in cui ci troviamo”.

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