Nei Paesi Bassi è nata la competizione “Tegelwippen”, che ha l’obiettivo di rimuovere pavimentazioni artificiali per sostituirle con terra e piante.
Perché si dice che il deserto del Sahara stia diventando verde
Quest’anno un’intensificazione delle precipitazioni nella parte settentrionale della fascia tropicale che avvolge l’Africa ha reso più verde la parte di deserto del Sahara che confina col Sahel.
“Rigoglioso”, con ampie aree verdi che invadono la fascia meridionale di uno dei deserti più caldi e aridi del mondo. È così che appare il Sahara, nel nord del continente africano, in una foto satellitare scattata il 12 settembre 2024 dal satellite Modis della Nasa, l’agenzia spaziale degli Stati Uniti, e messa a confronto con lo stesso giorno di un anno fa. Questa descrizione fa immediatamente immaginare a qualcosa di positivo, anche in virtù dell’ormai famosa Grande muraglia verde, un progetto di ripristino di un’area degradata del Sahel, di cui tanto abbiamo sentito parlare in questi anni. Eppure, la notizia di un deserto meno arido e più “lussureggiante” nasconde un risvolto decisamente meno affascinante.
Nell’espansione di una vegetazione rigogliosa verso nord, che tracima la fascia tropicale africana per riversarsi sul deserto, si nascondono eventi meteorologici estremi che hanno colpito quest’anno alcuni stati dell’Africa occidentale e centrale. Le precipitazioni che hanno spinto a una “migrazione della zona di convergenza intertropicale” – come descritto da uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature climate change – non si sono verificate sottoforma di una piacevole pioggia che ha bagnato la sabbia facendola miracolosamente fiorire. No, queste precipitazioni si sono riversate a terra sotto forma di nubifragi, tempeste e alluvioni che hanno causato inondazioni e grossi danni alla popolazione e ai territori di Nigeria e Camerun, di Niger e Ciad, fino ad arrivare a colpire il suolo sudanese e libico.
Ma cos’è la zona di convergenza intertropicale? Si tratta di un’area in cui permane durante tutto l’anno uno stato di bassa pressione avvolgendo la Terra proprio sulla fascia equatoriale. Una sorta di “cintura” dove temperature elevate e umidità garantiscono piogge abbondanti, soprattutto sul continente africano, a seguito della convergenza, per l’appunto, di grandi masse d’aria tropicali. A seconda di come si sposta questa zona (Itcz, nell’acronimo inglese), si determinano anche stagioni più secche o più umide nelle aree da essa interessate.
Quest’anno sembra che la Itcz abbia vissuto una migrazione considerevole verso nord con impatti evidenti sul clima tropicale e sulla società delle popolazioni interessate. Una migrazione che sembra determinata, come spesso in questi mesi, da due fattori fondamentali. Il primo è il passaggio da El Niño, che ha stravolto la temperatura media globale negli ultimi anni, a La Niña, che dovrebbe causare un raffrescamento delle acque superficiali oceaniche e quindi porre fine a un periodo che, per definizione, è più arido. L’altro, manco a dirlo, è il riscaldamento globale. L’aumento delle emissioni di CO2 e degli altri gas serra in atmosfera causato dall’utilizzo dei combustibili fossili e il conseguente aumento della temperatura media globale sembra spingere la Itcz più a nord e, secondo lo studio pubblicato su Nature climate change, questa migrazione dovrebbe diventare via via più frequente nel corso dei prossimi due decenni.
Ma le conseguenze sono evidenti già ora. In Ciad, un paese che si trova in bilico tra la Itcz e il Sahara, tra metà luglio e inizio settembre cadono tra i due e i tre centimetri di pioggia. Quest’anno, invece, nello stesso periodo è caduta una quantità d’acqua compresa tra gli 8 e i 20 centimetri causando inondazioni devastanti con quasi 1,5 milioni di persone colpite e 340 morti. Stessa sorte subita dal Sudan a fine agosto, con almeno 132 morti e più di 12mila abitazioni distrutte, e dalla Nigeria dove in questi giorni la situazione è decisamente fuori controllo. Nello stato di Borno, nel nordest del paese, le inondazioni sono state definite dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) come le peggiori degli ultimi trent’anni, segnando la vita di centinaia di migliaia di persone. Ad oggi sono decine di migliaia le bambine e i bambini senza accesso all’acqua pulita e all’assistenza sanitaria, secondo quanto riportato dalla ong Save the children. Ovviamente non stanno andando a scuola e molti di loro non hanno neanche più un tetto sotto cui ripararsi. “La situazione qui è terribile. Metà della città è stata sommersa e le strade non sono percorribili”, ha affermato Chachu Tadicha, vicedirettore di Save the Children in Nigeria e responsabile delle operazioni umanitarie e che attualmente si trova a Maiduguri, nel cuore dell’area colpita.
La migrazione della zona di convergenza intertropicale è qualcosa che ha bisogno di essere studiata in modo approfondito e accurato. E che sicuramente trova la sua origine in diversi fattori, incluso il riscaldamento globale, come anticipato. Così come andranno studiati gli effetti di tale fenomeno nel lungo periodo, così da evitare facili paragoni o – peggio – conclusioni sul progetto di un corridoio verde, come quello della Grande muraglia lungo il Sahel, partito più di quindici anni fa e che, al contrario, ha come scopo quello di arginare l’avanzata del deserto verso sud, grazie al ripristino e alla coltivazione di circa cento milioni di ettari di terreno.
Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Con un grande progetto di ripristino, Baltimora vuole riportare in salute oltre 200mila metri quadrati di zone umide lungo 18 km di costa.
Il riscaldamento globale ha spinto la Federazione internazionale dello sci e l’Organizzazione meteorologica mondiale a firmare un protocollo d’intesa.
Con Raimondo Orsini, direttore della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, abbiamo esplorato i temi chiave degli Stati generali della green economy 2024 il 5 e 6 novembre.
Entro il 2025, 40 porti italiani saranno dotati di spugne per assorbire gli oli. Si inizia da cinque tappe simboliche: Napoli, Messina, Brindisi, Ravenna e Trieste.
Una stretta opera di sorveglianza anti-bracconaggio ha dato i suoi frutti: il parco nazionale di Kaziranga ha quasi azzerato le uccisioni di rinoceronti.
A Palazzo Bovara apre al pubblico una tre giorni di confronto e conoscenza della moda sostenibile dal titolo Smart Closet.
Un aumento del 30% rispetto all’anno precedente, che risente anche delle conseguenze dei cambiamenti climatici.
Dall’11 al 13 ottobre a Parma c’è Fragile: il festival per trovare soluzioni e strategie per ridurre il nostro impatto sul pianeta.