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Il biometano ha enormi potenzialità a livello energetico, economico e ambientale. Ma in Italia manca ancora un quadro normativo che ne permetta l’immissione in rete. L’editoriale di Legambiente.
In Italia esistono solo sette impianti a biometano, di cui sei a scopo dimostrativo. Secondo le stime, però, nel 2030 il potenziale di produzione di biometano potrebbe raggiungere circa 8,5 miliardi di metri cubi, ovvero il 13 per cento del fabbisogno nazionale di energia, una quantità di gas quattro volte superiore a quella che si estrae dalla piattaforme entro le 12 miglia che sono state oggetto del referendum ad aprile 2016.
Il biometano è un biocombustibile che si ottiene sia dagli scarti di biomasse di origine agricola (che si rinnovano nel tempo e che nel loro ciclo di vita hanno incorporato il carbonio presente nell’atmosfera) sia dalla frazione organica dei rifiuti solidi urbani derivante dalla raccolta differenziata. E va sottolineato che è possibile farlo bene, senza intaccare la biodiversità, nel rispetto dell’uso dei suoli agricoli e senza entrare in conflitto con la produzione di cibo.
Migliorando la propria competitività sul mercato, il biometano potrebbe contribuire a ridurre significativamente le emissioni di gas serra del settore agricolo, che in Italia rappresentano più del 7 per cento delle emissioni complessive di gas a effetto serra. Inoltre, potrebbe generare 12mila nuovi posti di lavoro solo nel settore del trattamento dei rifiuti, della gestione delle discariche e del ciclo degli impianti agroindustriali.
Al momento, però, questo non è possibile. Da anni viene, infatti, ritardata l’approvazione del decreto che consentirebbe a questo biocombustibile di essere immesso nella rete gas, come avviene già in altri paesi europei da diversi anni, in virtù della sua composizione che consente di essere distribuito nelle infrastrutture esistenti, nei metanodotti e in città. Lo stop ha come unica motivazione quella di non aprire alla concorrenza nei confronti di quei gruppi che distribuiscono gas, come Eni, gli stessi che possiedono larga parte delle concessioni di gas nei nostri mari.
Dopo oltre due anni di attesa, è stato approvato ad aprile il primo decreto attuativo, che apre la strada all’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento e del digestato, prodotto dagli impianti di digestione anaerobica. Ma è ancora in attesa di approvazione il secondo decreto che completerà la filiera d’utilizzo del biocombustibile, definendo le forme per gli usi industriali e per l’autotrazione.
Occorre al più presto andare avanti e completare definitivamente il quadro normativo che vieta ancora oggi, in Italia, l’immissione del biometano in rete, perché questo biocombustibile può essere un potente alleato nella lotta ai cambiamenti climatici, come in quella all’inquinamento atmosferico e nella grande sfida della gestione dei rifiuti. Ha importanti possibilità d’impiego, tanto nel nuovo sistema energetico italiano, quanto nell’ambito dell’economia circolare europea, e tutte andrebbero valorizzate.
Legambiente è tra i sostenitori e sottoscrittori della Piattaforma biometano, promossa dal Consorzio italiano biogas per sottolineare l’importanza energetica di questa risorsa e le sue potenzialità di sviluppo in diversi settori apparentemente lontani tra loro, con benefici ambientali, sociali ed economici. Per questo, Legambiente ha tenuto una giornata di confronto tra stakeholder e addetti ai lavori, intitolata La nuova frontiera del biometano, per fare il quadro della situazione e attivare un’adeguata campagna d’informazione sulle prospettive e opportunità del biometano.
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