
Dal nuovo giacimento, chiamato Johan Sverdrup, la Norvegia potrebbe estrarre quasi 3 miliardi di barili di petrolio. Di qui al 2070.
Le lobby del petrolio hanno investito poco meno di un miliardo di euro in tre anni per fermare o rallentare le politiche climatiche vanificando gli sforzi per mitigare i cambiamenti climatici.
È una narrativa falsata, quella del mondo petrolifero e delle maggiori lobby del petrolio. Nonostante le prese di posizione pubbliche e gli impegni assunti dopo l’Accordo di Parigi, le cinque sorelle continuano ad investire fiumi di denaro per sviare, indebolire se non addirittura fermare l’avanzare delle politiche climatiche. A rivelarlo è il recente rapporto InflunceMap che mostra come ExxonMobil, Chevron, Bp, Shell e Total abbiano investito poco meno di un miliardo di euro in tre anni per fare pressioni in politica, nel settore industriale e nell’opinione pubblica contro le politiche climatiche.
“Lo studio InfluenceMap è un importante contributo ad una seria discussione che dovrebbe aver luogo ora”, spiega Jan Erik Saugestad, amministratore delegato di Storebrand asset management (l’Istituto finanziario norvegese che gestisce gli investimenti del fondo petrolifero norvegese). “Sorprendentemente, queste cinque major petrolifere prevedono un mero 3 per cento delle loro spese del 2019 verso tecnologie a basse emissioni, mentre investiranno 110,4 miliardi di dollari in più petrolio e gas”. La ricerca infatti mostra come gli investimenti verso la decarbonizzazione siano stati solo di 3,6 miliardi, contro i 110 miliardi in petrolio e gas, in aumento rispetto agli anni precedenti.
È chiaro se si osserva dove viene investito il denaro. La narrativa si è addirittura spostata negli ultimi anni, puntando sul fatto che la società odierna abbia bisogno di maggiori esplorazioni petrolifere e di una maggiore produzione di greggio per sopperire alla crescente domanda. Non importa che nel 2015, subito dopo la firma dell’Accordo di Parigi, sia nata l’Oil and gas climate initiative (Ogci), un’organizzazione che vede partecipi le maggiori compagnie petrolifere del pianeta – tra cui quelle citate nel rapporto – e che ha l’obiettivo dichiarato di limitare l’aumento medio della temperatura globale a 2 gradi centigradi. Nel documento “Più energia, meno emissioni: catalizzare azioni pratiche per affrontare i cambiamenti climatici”, lanciato dall’organizzazione si leggono le misure e i progressi compiuti dai suoi membri nello sviluppo di azioni significative per far fronte ai cambiamenti climatici, puntando sull’efficienza, su un minore utilizzo delle risorse fossili, sull’innovazione e su nuove tecnologie e modelli di business.
Ma è solo uno specchietto per le allodole. E il rapporto lo conferma. Se fino a qualche anno fa le pressioni si focalizzavano sull’alimentare dubbi sulla scienza del clima, dando vita a vere e proprie campagne negazioniste, ora l’impegno è più subdolo e ambiguo: si punta sul fatto che le politiche climatiche rischino di mettere in crisi il mercato del lavoro e la crescita, o si paventano fantomatiche soluzioni tecnologiche capaci di decarbonizzare l’economia rapidamente. Un doppio gioco che non ci possiamo più permettere.
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