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Un report punta il dito su 20 colossi dei combustibili fossili: a loro è imputabile il 35 per cento delle emissioni che hanno portato all’emergenza climatica.
La crisi climatica si avvicina al punto di non ritorno. Se la comunità globale non riuscirà ad azzerare le emissioni nette entro il 2050, sarà impossibile contenere l’aumento delle temperature globali entro gli 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali. Lo Special report 15 (Sr15) pubblicato un anno fa dal Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (Ipcc) mette le cose in chiaro: appena mezzo grado in più porterebbe conseguenze catastrofiche. Estati senza ghiaccio nell’Artico almeno una volta ogni 10 anni, un rischio inondazioni che sale del 170 per cento, 410 milioni di residenti urbani alle prese con la siccità, addio alle barriere coralline.
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Di fronte una prospettiva del genere, diventa ancora più sconvolgente scoprire che le emissioni di gas serra – le stesse che secondo il 97 per cento degli scienziati determinano i cambiamenti climatici – sono il risultato dell’azione di pochi, pochissimi soggetti. Per la precisione, appena venti colossi dei combustibili fossili sono responsabili di oltre un terzo dei gas serra emessi in atmosfera nell’ultimo mezzo secolo.
La rivelazione arriva dal Guardian, che ha pubblicato in anteprima i risultati di una ricerca condotta da Richard Heede per il Climate Accountability Institute. Attingendo ai report annuali pubblicati dalle singole aziende, è stato possibile ricostruire il volume totale di petrolio, carbone e gas naturale che sono stati estratti dal 1965 a oggi. Questa data è stata scelta come punto di partenza perché già all’epoca, secondo gli esperti, i leader politici e industriali erano a conoscenza dell’impatto ambientale delle fonti fossili. Infine, i ricercatori hanno calcolato le emissioni di CO2 e metano lungo tutta la filiera, dall’estrazione all’utilizzo finale.
Azienda | CO2 equivalente in miliardi di tonnellate |
---|---|
Saudi Aramco | 59,26 |
Chevron | 43,35 |
Gazprom | 43,23 |
ExxonMobil | 41,90 |
National Iranian Oil Co | 35,66 |
BP | 34,02 |
Royal Dutch Shell | 31,95 |
Coal India | 23,12 |
Pemex | 22,65 |
Petróleos de Venezuela | 15,75 |
Alle prime 20 società della classifica sono imputabili 480 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente, cioè il 35 per cento delle emissioni legate all’energia in tutto il Pianeta, per i cinque decenni considerati. Ironia della sorte, più della metà dei nomi di questa lista è di proprietà statale, a partire da Saudi Aramco (che da sola copre il 4,30 per cento del totale), passando per la russa Gazprom, e poi National Iranian Oil Co, Coal India, la messicana Pemex.
Il 90 per cento delle emissioni attribuite ai venti grandi inquinatori è stato generato nell’ultimo anello della filiera, quello in cui i combustibili fossili alimentano aerei, automobili, centrali a carbone. Il restante 10 per cento è legato all’estrazione, alla raffinazione e al trasporto. Il Guardian ha contattato tutte le 20 aziende, ma solo 7 hanno risposto. Alcune rifiutano di ritenersi responsabili dell’uso che è stato fatto dei combustibili che loro hanno estratto, altre contestano l’ipotesi per cui il loro impatto ambientale fosse già noto all’epoca.
“La grande tragedia della crisi climatica sta nel fatto che 7 miliardi e mezzo di persone debbano pagare il prezzo, sotto forma di un Pianeta rovinato, per permettere a una ventina di soggetti inquinanti di continuare a macinare profitti da record. Aver lasciato che tutto ciò accadesse è un grande fallimento morale del nostro sistema politico”, ha dichiarato il noto climatologo e geofisico statunitense Michael Mann.
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