
Per la prima volta nel 2025 si celebrano le più grandi fonti di acqua dolce del pianeta, che fronteggiano la sfida dei cambiamenti climatici.
In attesa della Cop 23 che si terrà a novembre, 196 paesi sono riuniti a Bonn per tentare di dare attuazione all’Accordo di Parigi. Un compito non semplice.
Da lunedì 8 maggio (e fino al 18) i membri delle delegazioni inviate da 196 nazioni di tutto il mondo sono riuniti a Bonn, in Germania. Ovvero nella città che ospiterà, nel prossimo mese di novembre, i negoziati della Cop 23, dai quali ci si attende un avanzamento concreto nel processo di attuazione concreta dell’Accordo di Parigi, siglato al termine della Cop 21 nel 2015.
A sei mesi di distanza dallo shock provocato dall’elezione del climato-scettico Donald Trump alla guida degli Stati uniti, i partecipanti alla riunione della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc) appaiono determinati a dimostrare che il processo avviato nella capitale francese è inarrestabile. Sostenuti in questo senso dai circa 200 grandi investitori (che rappresentano qualcosa come quindicimila miliardi di dollari di asset) che, in vista del G7 che si terrà alla fine di maggio, hanno invitato i governi ad agire per evitare la catastrofe climatica.
Over 200 investors with USD 15 trillion in assets urge rapid #ParisAgreement implementation https://t.co/YpzpqDO2oM Letter to #G7 and #G20 pic.twitter.com/nbCh7rjhlh
— UN Climate Action (@UNFCCC) 8 maggio 2017
La riunione in atto a Bonn è “ricolma di dossier tecnici e pratici”, ha spiegato Patricia Espinosa, segretaria esecutiva dell’Unfccc al quotidiano francese Le Monde. In particolare, l’obiettivo è di riuscire ad avanzare sul cosiddetto “rulebook”, ovvero il manuale che costituirà il quadro di attuazione dell’Accordo di Parigi, che alla Cop 22 di Marrakech si è deciso di terminare entro il mese di dicembre del 2018.
Occorre in altre parole tradurre in fatti concreti le parole contenute nell’Accordo. Anche se quest’ultimo finora è stato ratificato da 144 nazioni sulle 196 che partecipano ai negoziati: occorrerà verificare quale sarà la posizione della cinquantina di governi che per ora hanno mantenuto un atteggiamento non entusiasta, tenuto conto che i negoziati in seno all’Onu si svolgono di prassi “per consenso” (ovvero cercando di trovare un accordo unanime). D’altra parte, però, le organizzazioni non governative continuano a sottolineare il fatto che il pianeta è già quasi fuori tempo massimo e che occorre dunque agire in fretta se si vuole centrare l’obiettivo di limitare la crescita della temperatura media globale – come stabilito a Parigi – “ad un massimo di 2 gradi centigradi”, cercando di “restare il più possibile vicini agli 1,5 gradi”.
Looking forward to May @UNFCCC meeting as opportunity to clearly advance implementation of #ParisAgreement https://t.co/GQewWfcx00 #SB46 pic.twitter.com/yY3rp4E7VL
— Patricia Espinosa C. (@PEspinosaC) 6 maggio 2017
L’altro dossier collegato a filo doppio al “rulebook” che dovrà essere affrontato nella sessione tedesca, e poi alla Cop 23, è rappresentato dallo spinoso nodo dei finanziamenti che occorre stanziare per, da una parte, le politiche di transizione ecologica, dall’altra l’adattamento ai cambiamenti climatici, soprattuto nelle aree che saranno maggiormente colpite. “La questione economica è la colla che mantiene tutti i partecipanti attaccati al tavolo”, ha commentato ironicamente Brandon Wu, della ong americana Christian Aid.
È nota infatti la promessa avanzata nel 2009 a Copenhagen di stanziare non meno di 100 miliardi all’anno fino al 2020 per aiutare in particolare i paesi più vulnerabili. Ma un accordo su questo punto ancora non c’è. E qualcuno comincia già a domandarsi se il contributo degli Stati Uniti di Donald Trump dovrà essere messo in discussione.
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