Brasile. La deforestazione è crollata del 68 per cento con la presidenza Lula

Da gennaio, data dell’insediamento di Lula, il Brasile ha visto un crollo della deforestazione amazzonica. L’era Bolsonaro sembra già lontana.

  • La deforestazione di aprile è stata inferiore a quella dello scorso anno e anche alla media storica.
  • In questi mesi Lula ha ottenuto finanziamenti internazionali contro la deforestazione e ha riconosciuto terre agli indigeni.
  • Per gli esperti è ancora presto per parlare di un trend stabile di deforestazione, ma l’inizio è positivo.

Da quando nel gennaio scorso si è insediato il nuovo presidente Lula, la deforestazione amazzonica in Brasile ha subito una battuta d’arresto. Il leader progressista d’altronde lo aveva promesso in campagna elettorale e i dati usciti nelle scorse ore confermano un’inversione di tendenza nella deforestazione rispetto al periodo critico dell’era Bolsonaro. Ad aprile sono andati persi 329 chilometri quadrati di foresta, un numero sicuramente alto ma inferiore del 68 per cento a quello dello stesso mese del 2022. È ancora presto per parlare di un trend stabile, ma gli investimenti a tutela della foresta messi in campo da Lula in questi primi mesi di presidenza sembra stiano dando i loro effetti.

protesta bolsonaro
Protesta contro Bolsonaro e le sue politiche di deforestazione in Brasile © Mario Tama/Getty Images

Crollo della deforestazione

L’estate scorsa i dati sulle deforestazione amazzonica in Brasile facevano segnare un record negativo. Nei primi sei mesi dell’anno erano andati distrutti 4mila chilometri quadrati di foresta, il valore più alto degli ultimi sette anni. Ma soprattutto, l’80 per cento in più dello stesso periodo del 2018, l’ultimo anno prima dell’insediamento alla presidenza di Jair Bolsonaro.

Proprio sullo stato della foresta amazzonica si è giocata gran parte della campagna elettorale dell’autunno in Brasile. Da una parte Bolsonaro, alla ricerca della conferma al potere, che in questi anni ha tutelato gli interessi delle compagnie minerarie e dei grandi produttori agricoli. Dall’altra Luiz Inácio Lula da Silva, che ha sottolineato la necessità di tutelare le foreste e le comunità indigene che le abitano. Alla fine ha vinto Lula, che si è insediato ufficialmente alla presidenza lo scorso gennaio. E i dati sulla deforestazione relativi ai primi mesi del 2023 hanno evidenziato un radicale cambio di passo.

Ad aprile sono andati persi 329 chilometri quadrati di foresta, una quantità inferiore al 68 per cento rispetto ai 1.026 dello stesso mese del 2022. Il dato di questo aprile è anche inferiore alla media di 455 chilometri quadrati di foresta persa storicamente nel periodo. In generale, da gennaio la deforestazione ha subito un calo del 40 per cento rispetto allo stesso periodo del 2022. Secondo gli esperti è ancora presto per esultare, dal momento che il periodo peggiore per la perdita di foresta, quello estivo, ancora deve arrivare. Ma si tratta senza dubbio di un buon inizio.

Lula protegge le foreste

Se la deforestazione in Brasile ha subito una battuta d’arresto non è un caso. In questi mesi infatti il presidente Lula ha adottato una serie di politiche e iniziative volte alla loro tutela, dopo che durante il suo mandato l’ex presidente aveva smantellato gran parte dell’infrastruttura istituzionale costruita negli ultimi anni al riguardo.

Lo scorso marzo il presidente brasiliano ha ottenuto l’impegno della Gran Bretagna a contribuire al Fondo per l’Amazzonia, uno strumento finanziario lanciato nel 2009 per la tutela della foresta e per lo sviluppo sostenibile nell’area. Da Londra arriveranno circa 100 milioni di dollari, una quota sostanziosa che sicuramente darà un contributo importante nella lotta alla deforestazione. 

A fine aprile Lula ha invece riconosciuto ufficialmente 1.200 chilometri quadrati di terre indigene, per la maggior parte in Amazzonia. Proteggendole, così, dalle mire di chi vorrebbe disboscarle, trasformarle in piantagioni o scavarci delle miniere. Un’inversione a U rispetto all’approccio di Bolsonaro, che durante il suo mandato ha sempre messo in discussione le aree protette dei popoli originari e non ha mai riconosciuto alcuna nuova terra.

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