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Un decisione storica che riconsegnerà le terre indigene alle comunità che da sempre le custodiscono, sottraendole alle miniere e alla deforestazione.
“Per noi è un nuovo inizio molto importante”. Con queste parole Kleber Karipuna, coordinatore esecutivo dell’Articolazione dei popoli indigeni del Brasile (Apib), commenta la decisione presa dal presidente Lula: riconoscere ufficialmente quasi 1.200 chilometri quadrati di terre indigene, per la maggior parte in Amazzonia. Proteggendole, così, dalle mire di chi vorrebbe disboscarle, trasformarle in piantagioni, scavarci delle miniere.
Lula ha riconosciuto sei territori indigeni per un’estensione complessiva di poco meno di 1.200 chilometri quadrati, quasi come il comune di Roma. Queste aree rimangono sotto la giurisdizione del governo federale ma, d’ora in poi, i popoli indigeni hanno il diritto di farne l’uso previsto dalla loro tradizione. Le estrazioni minerarie sono vietate e servono autorizzazioni specifiche per l’agricoltura su scala commerciale e il disboscamento. Solo le persone indigene possono portare avanti attività economiche.
La decisione di Lula ha sollevato anche delle critiche, perché le terre indigene di cui è stata richiesta la demarcazione al governo federale sono molti di più: ben 733. Oltretutto, i governi di molti stati federali sono in mano alla destra di Jair Bolsonaro, meno propensa alla tutela dell’Amazzonia. “Questo è un processo che impiega un po’ di tempo perché deve passare per diverse mani”, ha precisato il presidente brasiliano. Ribadendo, però, il suo impegno. “Non voglio che alcun territorio indigeno rimanga senza demarcazione durante il mio governo. Questo è l’impegno che prendo con voi”.
Sempre in Amazzonia ma a Buriticupu, nello stato del Maranhao, i circa 70mila abitanti vivono nell’ansia da mesi. In parte per la deforestazione in rapidissimo aumento, in parte per l’espansione incontrollata dell’area urbana e l’inefficienza del sistema fognario, l’erosione del suolo ha raggiunto livelli allarmanti. Creando veri e propri crateri. A Buriticupu ce ne sono 26: iniziano come crepe che piano piano si allargano, fino a diventare canyon che raggiungono i 70 metri di profondità, inghiottendo case e strade.
Il 26 aprile il municipio ha decretato lo stato di pubblica calamità, nella speranza di ottenere fondi pubblici per i lavori di contenimento. Il fenomeno di per sé non è nuovo, perché il primo cratere si è formato circa vent’anni fa, ma a ogni pioggia i crateri diventano più vasti e pericolosi. Venendo a mancare le radici degli alberi, inoltre, il terreno sabbioso non riesce più a trattenere l’acqua. Ogni forte pioggia dunque finisce per terrorizzare gli abitanti.
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