Editoriale

Referendum sulla caccia: una prima vittoria, ma preoccupa il bracconaggio

520mila italiani hanno chiesto l’abolizione della caccia. Parallelamente, prosegue la lotta contro il bracconaggio e i crimini a danno della fauna selvatica.

Torniamo a parlare di caccia. E del referendum che ne chiedeva l’abolizione sul territorio italiano, promosso dal comitato Sì aboliamo la caccia. Sabato 30 ottobre, con la consegna presso la Corte di cassazione delle 520mila firme raccolte, si è concluso il primo iter legislativo: una bella cifra che prelude a una possibile vittoria delle associazioni promotrici dell’iniziativa, fra cui Gaia animali e ambiente. Come dichiara il presidente Edgar Meyer, bisogna però aspettare il riscontro della Cassazione sulla validità delle firme per poi seguire con la presentazione presso la Corte costituzionale.

caccia e bracconaggio
Il referendum sulla caccia è uno dei primi passi per proteggere molte specie animali © Pixabay

Il referendum vince, ma è in agguato il bracconaggio

Il numero di firme raccolte per il referendum sull’abrogazione della caccia è stato indubbiamente un successo per le varie associazioni animaliste e i volontari coinvolti. Come spesso accade, purtroppo, alla buona notizia fa da contrappunto la cattiva. Su denuncia del Wwf veniamo a sapere che l’apertura della stagione venatoria, come ogni anno, ha provocato un incremento esponenziale del numero di reati commessi a danno della fauna selvatica protetta.

Negli ultimi due mesi, i carabinieri forestali e le guardie venatorie del Wwf Italia, insieme ai volontari di altre organizzazioni, hanno condotto numerose operazioni sull’intero territorio italiano per il contrasto ai crimini contro la natura e l’ambiente. In Lombardia, nell’ambito dell’operazione Pettirosso, si è assistito a un preoccupante aumento delle illegalità venatorie. Nelle valli bresciane, per esempio, centinaia di cacciatori continuano ad abbattere fauna selvatica protetta con l’utilizzo di mezzi vietati, senza curarsi di leggi e divieti.

Gaia animali e ambiente denuncia poi una manifestazione contro l’Arma dei carabinieri che ha visto i cacciatori opporsi ai controlli sugli anellini identificativi dei richiami vivi, un’operazione che invece mira del tutto legittimamente a fermare un traffico illecito che coinvolge reti criminali nazionali e internazionali e che, in base alle stime, vale oltre 15 milioni di euro.

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Cadaveri di uccelli dopo una retata antibracconaggio © Gaia animali e ambiente

Edgar Meyer nota giustamente che le principali associazioni venatorie, invece di impegnarsi per evitare che i loro associati abbattano specie protette, utilizzano richiami elettroacustici, sistemano reti e trappole vietate, oltre ad aver appoggiato una manifestazione che attaccava l’operato dei carabinieri forestali, il cui lavoro non solo è del tutto legittimo, ma anche doveroso: le valli bresciane, infatti, sono fra le sette aree italiane a più alta densità di bracconaggio identificate dal Piano di azione nazionale per il contrasto degli illeciti contro gli uccelli selvatici, istituito su stimolo della Commissione europea.

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Il bracconaggio è un problema che persiste in molte zone d’Italia © Pixabay

Un argine alle violazioni

Il Wwf intende perciò segnalare alle istituzioni europee questa grave e diffusa situazione, chiedendo di aprire una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia per la sistematica violazione della direttiva Uccelli, la prima direttiva comunitaria in materia di conservazione dei volatili selvatici.

Ancora una volta, insomma, angeli e demoni si fronteggiano nell’eterna lotta per la supremazia. E, anche questa volta, noi che stiamo dalla parte della natura e dei suoi abitanti tifiamo per una vittoria finalmente definitiva e concreta.

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