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La caccia è iniziata come ogni anno. Non sono bastati gli incendi che hanno funestato il territorio, né il clima impazzito a fermare i cacciatori.
La caccia è iniziata. Si sente sparare di mattino presto, appena svegli e noi che abbiamo cani e viviamo in campagna o al limitare di essa la sentiamo, drammaticamente, più vicina e incombente. Già, perché spesso i cacciatori invadono anche l’abitato e si spingono pericolosamente a ridosso di case e viottoli frequentati. Io che ho cani di grossa taglia – per l’esattezza lupi cecoslovacchi con un manto grigio che si confonde con l’habitat naturale – sono spaventatissima in questo periodo. Limito le uscite e le corse campestri con conseguente disagio dei miei amici a quattro zampe. Ma la paura purtroppo è tanta e dal cacciatore incallito – o peggio principiante – chi ci può difendere se il tutto avviene con il beneplacito delle autorità preposte?
L’estate italiana anche quest’anno è stata caratterizzata da una serie di incendi, anche di vaste dimensioni, che hanno funestato il territorio recando gravissimi danni all’ecosistema. Animali selvatici in testa, senza calcolare quelli domestici o di allevamento morti perché imprigionati dai roghi o soffocati dal fumo. Come ha notato uno studio di Gaia animali & ambiente, dai dati pluviometrici e da quelli degli incendi sono emerse alcune situazioni particolarmente allarmanti in alcune regioni come la Calabria, la Sardegna, la Sicilia, l’Emilia-Romagna, le Marche, la Toscana, l’Umbria, e parte dell’Abruzzo e della Puglia. La siccità e la penuria di acqua che ha colpito molte regioni è stata, infatti, in molti casi aggravata dall’estensione dei roghi e ha prodotto una situazione di grande difficoltà per la fauna selvatica. Molti animali si sono spostati progressivamente in cerca di aree ambientali più protette e si sono concentrati nelle poche zone in cui hanno trovato ambienti ancora incontaminati dalle fiamme.
Da una ricerca di Legambiente è emerso che sono stati stimati in oltre 20 milioni gli animali selvatici arsi vivi negli incendi boschivi che hanno colpito l’Italia, soprattutto al sud, dall’inizio dell’estate. A morire accerchiati dalle fiamme, disorientati e intossicati dalle colonne grigie di fumo che ne impediscono la fuga, ci sono quindi numeri impressionanti di mammiferi, uccelli e rettili. Per contare solo i vertebrati, ai quali vanno aggiunti milioni e milioni di invertebrati. Il conto finale oscilla tra i 20 e i 24 milioni di selvatici periti nei roghi ed è calcolato sulla base dei decessi per ettaro (10mila metri quadrati) di territorio bruciato. È stato calcolato che, ultime settimane di questa estate infuocata, sono periti circa 2 milioni di mammiferi, tra cui caprioli, cervi, volpi, ricci, e roditori come scoiattoli e ghiri. E il conteggio definitivo ancora non c’è, purtroppo, per il prolungarsi di un clima caldo e afoso caratterizzato da disastri ambientali e caldo eccessivo.
In teoria – ma purtroppo non in pratica – l’attività venatoria sarebbe dovuta iniziare in Italia il 19 di settembre. Alcune regioni ne hanno potuto anticipare l’inizio in modo del tutto legittimo, ed è dal 1 settembre che fucili e doppiette sono attivi nei territori italiani. E non solo. Il Wwf ha sottolineato che alcuni calendari venatori si sono spinti ad autorizzare la caccia nelle giornate di “preapertura” persino alla tortora selvatica, un delizioso abitante delle nostre campagne. I danni sono, ovviamente, particolarmente gravi per una specie già in sofferenza cui appartiene un uccello schivo e inerme, e per il quale l’Italia rappresenta un’importante area di passo nelle necessarie migrazioni tra l’Europa e l’Africa.
Dando un’occhiata ai vari provvedimenti regionali salta all’occhio quello emanato dalla Sardegna che ha pubblicato il calendario venatorio solo a fine agosto, nonostante la legge quadro sulla caccia (legge n. 157/1992) che ne prevede la pubblicazione entro e non oltre il 15 giugno. A ciò fa però da contraltare la recentissima buona notizia siciliana. Nell’isola, infatti, il Tar ha sospeso la caccia fino al 1 ottobre. La decisione è stata adottata in considerazione degli incendi divampati nel periodo estivo con i loro effetti sull’ambiente e sulla fauna stanziale. Ne hanno dato notizia le associazioni ambientaliste e animaliste che avevano presentato il ricorso: Wwf Italia, Legambiente Sicilia, Lipu Birdlife Italia ed Enpa.
Con il perdurare del caldo e con la minaccia di ulteriori eventi climatici imprevedibili sorge spontanea una domanda. Perché non abolire la pratica venatoria o almeno limitarne la diffusione? Considerando, per esempio, che l’articolo 10 della legge 353/2000 ne prevede il divieto assoluto per un periodo di dieci anni su tutti i terreni boschivi percorsi dal fuoco. E nei territori limitrofi agli incendi, dove hanno trovato e troveranno rifugio gli animali scampati, andrebbe comunque impedito ai cacciatori di esercitare il loro sport assassino. Un’utopia? Neanche tanto, se si considera il notevole danno economico che la caccia comporta distruggendo sistematicamente un habitat naturale già fortemente compromesso dai problemi connessi al clima. E per quanto siano forti – anzi fortissime – le lobby dei cacciatori in Italia, un semplice calcolo economico sarebbe auspicabile e non più utopico, soprattutto considerando la sempre maggiore scissione dell’essere umano dall’ambiente che lo circonda.
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