
La Corte europea per i diritti dell’uomo ha ascoltato i 6 giovani portoghesi e la difesa degli stati accusati di inazione climatica. La sentenza nel 2024.
La risalita del livello degli oceani potrebbe sommergere le infrastrutture americane che garantiscono il funzionamento di internet secondo uno studio.
Niente più email, stop alle ricerche su Google, niente più Facebook e Twitter. Tra le innumerevoli conseguenze dei cambiamenti climatici che nei prossimi decenni si potrebbero manifestare ce n’è una che probabilmente la maggior parte di noi non aveva immaginato: la fine di internet.
A new study says that in just 15 years, roughly 4,000 miles of fiber-optic cables in US coastal cities could be underwater. https://t.co/mOHZlkmFa7
— WIRED (@WIRED) July 23, 2018
Lo scenario – che, tenuto conto delle abitudini digitali diffuse ormai nel mondo intero, appare apocalittico – è stato indicato da uno studio dell’università dell’Oregon e del Wisconsin, negli Stati Uniti. Secondo l’analisi pubblicata dai ricercatori americani, entro quindici anni le infrastrutture fisiche che garantiscono il funzionamento della Rete in tutto il mondo potrebbero risultare inutilizzabili.
Ciò per via della risalita del livello degli oceani, causata dallo scioglimento dei ghiacci polari dipeso a sua volta dalla crescita della temperatura media globale. Secondo le stime degli esperti, infatti, il livello degli oceani potrebbe salire di ben 65 centimetri di qui al 2100. Ad oggi, la crescita è pari a tre-quattro millimetri all’anno. E negli ultimi 25 anni, i mari si sono già alzati di circa sette centimetri.
Nel loro studio, gli scienziati si sono concentrati in particolare sul caso degli Stati Uniti. Per cercare di immaginare l’impatto su internet della crescita del livello dei mari hanno incrociato le mappe dei cavi in fibra ottica presenti nelle città costiere con quella predisposta dalla National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa). Relativa, appunto, all’evoluzione degli oceani nei prossimi decenni. Ebbene, il risultato indica che parte di grandi metropoli come New York, Seattle, Miami e Los Angeles potrà risultare sommersa di qui al 2030. Con esse, finirebbero sott’acqua anche i circa seimila chilometri di cavi che sono stati installati nelle loro strade, nonché un migliaio di centri di manutenzione.
Thousands of miles of fiber optic cable—and hundreds of pieces of other key infrastructure—sit squarely in the path of rising seas.https://t.co/W2S4CPt8nd
— National Geographic (@NatGeoMag) July 17, 2018
Così, per internet non ci sarebbe scampo. Con ripercussioni immediate in tutto il mondo (basti pensare a quanti lavori sono oggi direttamente legati al web). “È necessario cominciare fin da oggi ad attuare piani di mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici”, ha affermato Ramakrishnan Durairajan, uno degli autori della ricerca. “Spesso si immagina che il mondo avrà a disposizione una cinquantina di anni per adattarsi, ma non è così”, gli ha fatto eco il collega Paul Barford.
Le infrastrutture coinvolte sono state costruite sottoterra, lungo i litorali, circa venti anni fa. Senza pensare minimamente ai rischi legati al clima. In molti casi si tratta di impianti resistenti all’acqua, ma che non sono stati concepiti per rimanere perennemente immersi. Senza dimenticare che in caso di guasti le riparazioni diventerebbero in ogni caso complicatissime.
Già negli anni scorsi, infatti, alcuni eventi meteorologici estremi – come nel caso dell’uragano Sandy a New York– hanno causato black-out sulla Rete. In quei casi erano infatti stati inondati numerosi centri di telecomunicazioni. Stessa situazione capitata con il passaggio dell’uragano Irma in Florida. E che potrebbe ripetersi di nuovo, considerato il previsto aumento della frequenza e dell’intensità dei fenomeni.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
La Corte europea per i diritti dell’uomo ha ascoltato i 6 giovani portoghesi e la difesa degli stati accusati di inazione climatica. La sentenza nel 2024.
La compagnia Austrian Airlines è stata giudicata colpevole di aver diffuso una pubblicità ingannevole in merito alla sostenibilità dei viaggi aerei.
Il delta del Po è una delle aree italiane che più sta subendo gli effetti dei cambiamenti climatici. Lo raccontano le donne coltivatrici che lì lavorano.
I dati relativi all’estensione della calotta in Antartide sono drammatici: mai era risultata così ristretta la superficie.
Il 27 settembre, 32 stati dovranno rispondere alla Corte di Strasburgo delle loro azioni sul clima. La sentenza potrebbe rappresentare una svolta legale.
Gli eventi meteo estremi colpiscono gli Stati Uniti sempre più spesso, ma questo non è ancora sufficiente per fermare l’espansione di gas e petrolio.
Lo stato federale della California trascina in tribunale Exxon, Shell, Bp, ConocoPhillips e Chevron: “Sul clima sapevano e hanno mentito”.
Il G20 di Nuova Delhi e il primo Summit africano sul clima hanno mostrato nuovamente le divisioni dei governi sulla questione climatica.
Lo storico Africa climate summit si è concluso mercoledì 6 settembre con l’adozione da parte dei leader della dichiarazione di Nairobi.