La Cina sarebbe pronta ad investire la cifra gigantesca di 460 miliardi di euro nella produzione di energia a partire dal carbone. Una decisione che, se confermata, risulterebbe in totale contraddizione con gli impegni assunti dalla nazione asiatica con la ratifica dell’Accordo di Parigi.
Le centrali a carbone già spente per metà giornata
A lanciare l’accusa è un rapporto pubblicato il 28 novembre dall’associazione britannica Carbon Tracker Initiative, nel quale si sottolinea come le centrali a carbone già esistenti in Cina presentino oggi una capacità produttiva pari a 895 Gigawatt. Eppure, i 2.689 siti in servizio non sarebbero utilizzati “che per la metà del tempo”. In pratica, secondo quanto riferito dalla ong inglese, la prima economia del mondo già oggi non farebbe girare a pieno regime il proprio parco di centrali a carbone. Una circostanza sottolineata in passato anche da Greenpeace, secondo la quale la capacità in eccedenza sarebbe pari oggi a 2-300 Gigawatt.
Perché dunque investire ulteriore denaro in un settore che, tra l’altro, è tra i più inquinanti in assoluto? Secondo la Carbon Tracker Initiative si tratta di “una cattiva allocazione di capitali”, per di più “di un’ampiezza mai vista prima”. Eppure, la Cina ha lanciato due nuovi cantieri a settimana nel corso del 2015, prevedendo di incrementare la capacità produttiva del settore carbonifero di 205 Gigawatt. “Per giustificare questo aumento, occorrerebbe che la produzione di energia cinese salisse del 4 per cento all’anno, di qui al 2020”, ha sottolineato la ong. Ma l’economia del colosso asiatico non viaggia più ai ritmi di qualche anno fa, per cui è probabile che ciò non sia necessario.
Il carbone fornisce ancora il 60% dell’energia elettrica
Ad oggi – ricorda il quotidiano francese Le Monde – le centrali a carbone continuano a fornire circa il 60 per cento dell’energia elettrica consumata nel paese. Il che significa consumare 4 miliardi di tonnellate all’anno di carbone: un dato che risulta raddoppiato rispetto al 2004.
La stessa associazione britannica sottolinea che la produzione a partire da tale fonte fossile dovrebbe diminuire dell’8 per cento, entro il 2020, rispetto al 2015. Rimpiazzata in gran parte dalle rinnovabili. “Ma ciò non fa altro che confermare che la Cina non ha bisogno di nuove centrali a carbone”, ha concluso la ong.
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