Gli impegni sul clima dei governi sono ancora insufficienti

A 5 anni dall’approvazione dell’Accordo di Parigi, 80 nazioni si sono riunite per un vertice sul clima. Ma gli impegni avanzati ancora non bastano.

Un bilancio fatto, ancora una volta, di luci e ombre. È ciò che è emerso sabato 12 dicembre dal summit organizzato in occasione del quinto anniversario dell’approvazione dell’Accordo di Parigi sul clima. Solo una parte degli 80 capi di stato e di governo invitati alla conferenza ha avanzato, infatti, nuove promesse in termini di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra. È il caso del Regno Unito, della Cina, del Pakistan e, nel suo insieme, dell’Unione europea. Ma essi non basteranno per salvare il Pianeta dalla catastrofe climatica.

Escluse dal summit le nazioni che non hanno dimostrato impegno

Nel corso dell’evento, infatti, è stato ricordato che – allo stato attuale – la traiettoria del riscaldamento globale porterà ad una crescita della temperatura media globale, sulla superficie delle terre emerse e degli oceani, di cui al 2100, di 3,5-4 gradi centigradi, rispetto ai livelli pre-industriali. Sapendo che già superare “soltanto” i 2 gradi (limite massimo indicato dall’Accordo di Parigi, che tuttavia chiede di rimanere il più possibile vicini agli 1,5 gradi) comporterebbe sconvolgimenti epocali per la Terra.

Manifestazione clima
Una manifestazione per il clima © Carsten Koall/Getty Images

Ad organizzare il summit (in videoconferenza) sono stati il Regno Unito, che ospiterà la prossima Conferenza mondiale sul clima (Cop 26), la Francia e le Nazioni Unite. Che avevano già posto delle condizioni per partecipare: soltanto le nazioni che avessero indicato nuovi impegni concreti e ambiziosi sono state invitate all’evento. Così, le richieste di Australia, Brasile, Russia, Turchia, Sudafrica, o ancora Arabia Saudita sono state respinte.

“Sul clima sono indispensabili degli impegni di breve termine”

Ciò nonostante, troppe nazioni, anche nel corso dell’incontro di sabato, hanno mostrato troppa prudenza. Nonostante l’appello accorato del segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres, che ha chiesto esplicitamente ai governi di “smetterla di fare la guerra al Pianeta”. Alok Sharma, presidente della Cop 26 ha commentato l’esito del summit con queste parole: “Abbiamo fatto dei reali progressi? Sì. Ne abbiamo fatti abbastanza per limitare la crescita della temperatura media globale a 1,5 gradi? No. Benché incoraggianti, queste promesse non sono sufficienti”.

Allo stesso modo, Laurence Tubiana – che nel 2015 fu una delle architette dell’Accordo di Parigi – ha spiegato al quotidiano francese Le Monde che “il summit ha segnato qualche avanzamento interessante, ma degli impegni di breve termine, benché indispensabili, sono arrivati solo dall’Unione europea e da piccole nazioni. Occorrerà molta pressione sulle nazioni del G20 affinché adottino impegni di qui al 2030 e non soltanto al 2050”. Anche l’organizzazione non governativa Extinction Rebellion ha manifestato tutte le sue perplessità: impegni a così lungo termine sono “condanne a morte”. Mentre l’attivista Greta Thunberg ha parlato di “direzione sbagliata”.

I nuovi impegni della Cina sulle emissioni di gas ad effetto serra

Basti pensare che una nazione come la Cina, prima al mondo in termini di emissioni di gas ad effetto serra, ha annunciato la volontà di raggiungere la carbon neutrality, ovvero l’azzeramento delle emissioni nette di gas clima alteranti, di qui al 2060. Nel corso del summit del 12 dicembre, tuttavia, ha annunciato la volontà di ridurre le emissioni in rapporto al Prodotto interno lordo di “oltre il 65 per cento”, di qui al 2030, rispetto ai livelli del 2005. E di operare affinché le energie rinnovabili rappresentino il 25 per cento dei consumi nazionali entro i prossimi dieci anni, triplicando la capacità installata di eolico e solare.

Anche in questo caso, però, si tratta di obiettivi giudicati troppo lontani dagli esperti. Manish Bapna, vice-presidente del think tank americano World Resources Institute, ha spiegato che “si tratta di passi nella buona direzione, ma se davvero la Cina vorrà centrare la carbon neutrality che si è fissata per il 2060, deve imporsi sin da ora degli obiettivi di breve termine più ambiziosi”.

Da parte sua, l’Unione europea si è impegnata a ridurre di “almeno il 55 per cento” le emissioni entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990. Un passo avanti concreto rispetto al precedente impegno, che prevedeva un calo del 40 per cento. Ma ancora insufficiente, poiché occorrerebbe raggiungere il 65 per cento per fare la nostra parte nell’ottica dell’obiettivo globale di non superare gli 1,5 gradi.

Il Pakistan sorprende tutti, l’India delude

A sorprendere tutti è stato il Pakistan, nazione non certo tra le più ricche al mondo, che ha annunciato la volontà di rinunciare alla costruzione di nuove centrali a carbone. E ha presentato un piano che porterebbe al 60 per cento del mix energetico nazionale le fonti rinnovabili e al 30 per cento la quota di auto elettriche in circolazione, entro i prossimi dieci anni. Nuovi impegni sono giunti poi dal Canada (che ha permesso una carbon tax a 170 dollari canadesi per ogni tonnellata di CO2 emessa, ma a partire dal 2030) e da Svezia, Islanda, Colombia, Barbados.

antonio guterres
Il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres © Sean Gallup/Getty Images

Purtroppo, molte nazioni del G20 si sono però accontentate di confermare le vecchie promesse. È il caso dell’India, che pur indicando la volontà di “andare oltre”, non ha avanzato alcun nuovo impegno formale. Il mondo, inoltre, attende di verificare se il futuro presidente degli Stati Uniti Joe Biden sarà in grado di confermare le promesse elettorali in materia di clima. I prossimi mesi saranno dunque decisivi, in attesa della Cop 26 che si terrà a novembre del 2021 a Glasgow. Di qui ad allora, il Pianeta si gioca buona parte delle proprie possibilità di centrare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.

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