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Come i cambiamenti climatici stanno trasformando lo sport, ma soprattutto il destino olimpico di molte atlete e atleti solo per la loro provenienza geografica.
L’epidemia, definita dall’Oms “un’emergenza internazionale”, ha provocato circa 1.700 vittime in meno di un anno.
Lo scorso agosto la Repubblica Democratica del Congo è stata colpita dal secondo focolaio di ebola più grande della storia, dopo quello abbattutosi sull’Africa occidentale nel 2014-2016 che uccise oltre 11mila persone. Da allora il virus ha infettato oltre 2.500 persone, di cui 750 bambini, uccidendone più di 1.650. Ha un tasso di mortalità del 67 per cento e, a undici mesi dall’inizio dell’epidemia, sembra in costante espansione. L’assoluta gravità della situazione è stata certificata dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che ha classificato l’epidemia come “un’emergenza internazionale di salute pubblica”, condizione straordinaria dichiarata solo quattro volte negli ultimi 14 anni. “È una misura che riconosce il possibile aumento del rischio nazionale e regionale – ha spiegato il presidente del comitato di emergenza appositamente istituito dall’Oms, Robert Steffen – e il bisogno di una azione coordinata e intensificata per gestirlo”.
#Ebola outbreak in #DRC declared a Public Health Emergency of International Concern – press release ?https://t.co/wiaOsDeOO7 pic.twitter.com/ElR91WS98z
— World Health Organization (WHO) (@WHO) 17 luglio 2019
Le aree più colpite sono le province del Nord Kivu e dell’Ituri, nel nord-est del Paese. Uno dei principali focolai della malattia è la città di Butembo, nella provincia del Kivu Nord. Da lì il virus si sarebbe espanso, arrivando pochi giorni fa a Goma, la città più grande a essere coinvolta nell’epidemia. Alcuni casi isolati e due vittime sono inoltre stati segnalati nella parte nordorientale della Repubblica Democratica del Congo, al confine con Ruanda e Uganda.
Il virus ebola che, per la decima volta dal 1976, anno in cui si verificò uno dei primi due focolai epidemici, sta minacciando la Repubblica Democratica del Congo, è emerso da un’area naturale non ancora identificata. I pipistrelli della frutta (Pteropodidae) sono considerati i probabili ospiti naturali del virus e l’introduzione dell’ebola nelle comunità umane avviene, secondo quanto riportato dall’Oms, “attraverso il contatto con sangue, secrezioni, organi o altri fluidi corporei di animali infetti. In Africa è stata documentata l’infezione a seguito di contatto con scimpanzé, gorilla, pipistrelli della frutta, scimmie, antilopi e porcospini trovati malati o morti nella foresta pluviale”.
Il virus si diffonde poi tra le persone attraverso il contatto con organi, sangue e altri fluidi biologici di soggetti infetti e con ambienti contaminati da tali fluidi. Trasmettere l’ebola non è però poi così facile, considerato che per introdursi in un secondo ospite deve entrare attraverso uno squarcio della pelle o una membrana mucosa, come gli occhi o il naso.
Per affrontare l’epidemia di ebola gli operatori sanitari dispongono del vaccino rVSV-ZEBOV, sviluppato da scienziati canadesi nei primi anni 2000 e testato in Guinea nel 2015, in grado di stimolare una difesa preventiva nel sistema immunitario. Dallo scorso maggio oltre 111mila persone sono state vaccinate, la maggior parte delle quali tra le categorie più a rischio, come i fornitori di assistenza sanitaria o i familiari di persone infette. Il vaccino, secondo l’Oms, si sta dimostrando molto efficace, specie se somministrato per tempo, e il tasso di mortalità tra i soggetti vaccinati è estremamente basso.
Nonostante l’efficacia del vaccino il virus continua ad espandersi e a mietere vittime. Le cause di questa discrepanza sono molteplici, innanzitutto molte malattie comuni, come il morbillo, presentano sintomi iniziali simili a quelli dell’ebola, pertanto identificare il virus nelle sue fasi iniziali non è così facile. La malattia può inoltre essere diagnosticata solo nei centri specializzati, ma molte persone continuano a rivolgersi a cliniche private, ai guaritori tradizionali o a curarsi a casa, rendendo così difficile isolare i casi di contagio e distribuire efficacemente i vaccini. La causa principale della scarsa efficacia della lotta all’ebola risiede nella diffidenza di molti cittadini congolesi nei confronti degli stranieri. Alcuni ritengono che l’epidemia sia una notizia falsa diffusa dalle ong e dalle Nazioni Unite per giustificare la loro presenza nel Paese e continuare a depredarlo. Altri pensano che il virus sia stato deliberatamente creato per lo stesso motivo. I conflitti e le violenze politiche in corso nell’area rendono inoltre ancora più difficile il lavoro degli operatori umanitari.
Il virus ebola minaccia anche la sopravvivenza di numerosi animali, tra cui i gorilla orientali (Gorilla beringei) e i gorilla di montagna (Gorilla beringei beringei), classificati rispettivamente come “in pericolo” e “in pericolo critico” dalla Lista Rossa della Iucn. Il virus per le grandi scimmie è anche più letale che per gli esseri umani: il tasso di mortalità raggiunge l’85 per cento tra i gorilla e il 77 per cento tra gli scimpanzé. Da quando ha fatto la sua comparsa l’ebola ha decimato le popolazioni di primati centroafricani. La nuova epidemia, fortunatamente, sembra però non aver colpito i gorilla. Il team dell’associazione conservazionista Gorilla Doctors, in collaborazione con le autorità governative, e gli operatori sanitari, sta monitorando attentamente la situazione. “Le grandi scimmie antropomorfe, tra cui i gorilla, sono molto sensibili al virus ebola e in passato le epidemie umane sono state associate a una significativa mortalità nelle popolazioni di grandi scimmie selvatiche nell’Africa occidentale – ha spiegato il dottor Martin Kabuyaya Balyananziu, veterinario di Gorilla Doctors. – Per l’attuale epidemia nella Repubblica Democratica del Congo non ci sono state segnalazioni di casi sospetti o confermati di virus ebola tra i gorilla”.
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