La corte suprema degli Stati Uniti boccia l’oleodotto Dakota Access

Il più alto grado della giustizia statunitense dà ragione alle tribù che si oppongono all’oleodotto Dakota access. L’impatto ambientale è troppo alto.

  • Nel 2020 una sentenza ha revocato i permessi per l’oleodotto Dakota access. La società che lo gestisce ha presentato ricorso, ma la corte suprema degli Stati Uniti l’ha respinto.
  • Si tratta dell’ennesimo trionfo per le tribù sioux che difendono il proprio territorio nel Dakota.
  • La lotta continua: l’oleodotto, infatti, continua a trasportare petrolio nonostante sia illegittimo.

Un altro trionfo per i sioux della riserva Standing Rock, nord Dakota, che dal 2016 lottano contro il controverso progetto di oleodotto Dakota access pipeline (Dapl), raccogliendo manifestazioni di sostegno da tutto il mondo.

Due anni fa, infatti, un tribunale federale di Washington aveva ordinato una revisione ambientale del progetto, perché violava il National environmental policy act (Nepa), la legge sul diritto ambientale statunitense. L’operatore della pipeline, Energy Transfer, ha presentato ricorso contro quella decisione. Il 22 febbraio 2022 però la corte suprema, cioè il più alto grado di giustizia degli Stati Uniti, ha respinto il reclamo. Dando di nuovo ragione alle tribù che difendono il proprio territorio.

Il Dakota access continua ad avere un impatto negativo 

La decisione del tribunale federale, quindi, rimane intatta: l’oleodotto, così come costruito, presenta un impatto negativo sulla riserva di Standing Rock, situata tra il nord e il sud Dakota.

Un altro tassello che si aggiunge alla complessa storia legale dell’oleodotto. Progettato per trasportare petrolio su un percorso lungo 1.886 chilometri dai giacimenti di Bakken, nel nord Dakota, fino all’Illinois, passando per il sud Dakota e l’Iowa, il Dakota Access pipeline prevedeva un tratto lungo tre chilometri sotto il lago Oahe, un bacino artificiale del fiume Missouri.

Ma i nativi americani – tra cui la tribù Standing Rock, insieme a quelle di Yankton sioux, Oglala sioux e Cheyenne river sioux – dipendono da queste risorse idriche. Per questo si sono opposte al passaggio dell’opera per timore dei disastri ambientali che le fuoriuscite di petrolio avrebbero potuto generare.

dakota pipeline
Un oleodotto in costruzione nel Dakota © Andrew Burton/Getty Images

Le tribù Sioux hanno vinto la causa

La battaglia legale è iniziata nel 2016, quando l’amministrazione di Barack Obama ha negato all’oleodotto i permessi di attraversare il fiume Missouri e ha ordinato una revisione ambientale complessiva per analizzare percorsi alternativi. Nella sua prima settimana da presidente in carica, Donald Trump ha voluto annu firmato un ordine esecutivo per accelerare la costruzione. La pipeline è stata così completata nel giugno 2017.

Le tribù non si sono arrese, hanno contestato i permessi forniti alla società per costruire l’oleodotto e hanno vinto la causa, bloccando il progetto. Di conseguenza, allo United States army corps of engineers (Usace), la sezione dell’esercito americano che si era occupata della progettazione dell’opera, è stato ordinato di procedere con una nuova valutazione di impatto ambientale, sostenendo che quelle fatte in precedenza erano “gravemente carenti”.

Biden continua a rilasciare troppe licenze per estrarre gas e petrolio

“Il contenzioso relativo all’oleodotto è terminato, ma la lotta continua“, ha dichiarato al Guardian l’avvocato Jan Hasselman di EarthJustice, l’organizzazione legale senza scopo di lucro che rappresenta la tribù Standing Rock sioux in tribunale.

Nell’attesa che vengano portate a termine le valutazioni, infatti, l’oleodotto continua a trasportare petrolio. “Chiediamo all’amministrazione di chiudere l’oleodotto fino al completamento della revisione completa della sicurezza e dell’ambiente. In primo luogo, la Dapl non avrebbe mai dovuto essere autorizzata e l’attuale amministrazione non sta affrontando la persistente illegalità di questo progetto”, ha aggiunto Hasselman.

Dare un taglio ai combustibili fossili è l’unica strategia che il governo guidato da Joe Biden dovrebbe perseguire. E invece il numero medio di licenze rilasciate ogni mese dall’amministrazione Biden per l’estrazione di gas e petrolio è superiore a quello dell’amministrazione Trump: tra il 2017 e il 2021, infatti, Trump aveva rilasciato in media 316 nuovi permessi al mese, mentre per ora la Casa Bianca ne ha rilasciate in media 339 al mese. Una scelta che contraddice gli impegni presi dagli Stati Uniti durante la Cop26 di Glasgow.

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