La proposta di togliere la scadenza all’autorizzazione delle sostanze attive dei pesticidi è contenuta in un pacchetto semplificazione della Commissione. Per gli ambientalisti in questo modo il profitto dell’industria prevale sulla salute.
Una sentenza della Corte di giustizia europea ha stabilito che le parole come “latte”, “burro”, “formaggio” e “yogurt” si possono utilizzare in etichetta solo per i prodotti di origine animale e non per quelli vegetali come il latte di soia.
Latte di soia? Da oggi non potremo più chiamarlo così. Lo ha stabilito la Corte di giustizia europea nella risoluzione di una causa tra la società tedesca TofuTown, che produce alimenti 100 per cento vegetali con gli stessi nomi dei prodotti lattiero-caseari, e l’associazione contro la concorrenza sleale Verband Sozialer Wettbewerb, che aveva avanzato l’accusa che tali denominazioni violassero la normativa europea. La sentenza, pubblicata il 14 giugno, ha dato ragione all’associazione affermando che “i prodotti puramente vegetali – come la soia appunto – non possono, in linea di principio, essere commercializzati con denominazioni, come latte, crema di latte o panna, burro, formaggio e yogurt, che il diritto dell’Unione riserva ai prodotti di origine animale”. Ed è vietato scrivere “latte” sulla confezione anche se seguono indicazioni o descrizioni che spiegano l’origine del prodotto.
Il regolamento comunitario 1234/2007 stabilisce, infatti, che il termine latte si riferisce solo al “prodotto della secrezione mammaria normale, ottenuto mediante una o più mungiture, senza alcuna aggiunta o sottrazione”. Per indicare un prodotto simile al latte, ma non di derivazione animale, si dovrebbe utilizzare la dicitura “bevanda vegetale a base di”. La restrizione decisa per il latte di soia, non vale invece per il latte di mandorla e di cocco che sono considerate denominazioni tradizionali. La Coldiretti ha accolto positivamente il pronunciamento della Corte di Giustizia europea: secondo il parere dell’associazione di agricoltori, la denominazione “latte” nelle bevande vegetali crea confusione, con la conseguenza di ingannare i consumatori e far chiudere le stalle: in Italia le bevande vegetali hanno raggiunto un valore al consumo di 198 milioni di euro con un incremento del 7,4 per cento (dati Nielsen), un mercato spinto dalle intolleranze e da quelle che Coldiretti definisce le fake news del web, secondo le quali il latte sarebbe dannoso perché è un alimento destinato all’accrescimento di cui solo l’uomo, tra gli animali, si ciba per tutta la vita.
La regola che d’ora in poi dovrà essere applicata ai prodotti vegani che richiamano quelli lattiero-caseari, non varrebbe invece per quelli che ricordano la carne. Di recente la Commissione europea, rispondendo all’interrogazione di due europarlamentari italiani, ha ammesso l’utilizzo del cosiddetto Meat sounding, stabilendo che i termini come fettina, bistecca, cotoletta, burger, ragù e simili si possono usare anche in prodotti a base, ad esempio, di tofu o seitan, a meno che non ci si riferisca a Dop e Igp. La Lav Area scelta vegan, che tutela i diritti animali, ha percepito nella sentenza della Corte Ue, una reazione provocata dalla paura dei nuovi trend di consumo alimentare: “L’avanzata dei prodotti 100 per cento vegetali è inarrestabile e ha caratteristiche concrete”, ha affermato la responsabile Lav Paola Segurini. “Non la fermeranno un nome o un etichetta o una sentenza. La gente ormai è sensibilizzata e cosciente: conosce vantaggi etici, salutari e di gusto dei cibi vegan e sa leggere benissimo, anche tra le righe!”
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