Crollo della Marmolada, uno studio conferma che è colpa della crisi climatica

Secondo il primo studio a indagare le cause del crollo della Marmolada, costato la vita 11 persone, l’evento è dovuto in gran parte alle alte temperature.

Il crollo della Marmolada è stato causato dalla crisi climatica. Oggi è uno studio a fornire l’evidenza scientifica, necessaria a rendere inoppugnabile quanto sembrava chiaro già poche ore dopo il distacco del saracco di ghiaccio che costò la vita a 11 persone a luglio 2022. Due docenti universitari italiani hanno realizzato il primo studio che indaga cause e meccanismi della tragedia avvenuta sulla montagna più alta delle Dolomiti.

Dalla comunità scientifica arriva così la conferma che il distacco del ghiacciaio da cui ebbe origine la valanga di acqua, neve e detriti che percorse oltre 2 chilometri verso valle distruggendo ogni cosa, fu causato in gran parte alle “temperature altamente anomale” registrate lo scorso anno, che tuttavia rischiano di diventare un’allarmante quotidianità per via del riscaldamento globale.

La tragedia della Marmolada, dolomiti
Un elicottero della Protezione civile sorvola sulla Marmolada il 4 luglio © PIERRE TEYSSOT/AFP via Getty Images

La dinamica del crollo della Marmolada

Il crollo si è verificato a 3.213 di quota, nella parte più alta del versante settentrionale della montagna. Le alte temperature hanno provocato lo scioglimento della superficie ghiacciata, che ha causato circa 12mila metri cubi di infiltrazioni d’acqua nel crepaccio mediano del ghiacciaio della Marmolada. Questa piccola porzione residuale era parte integrante del ghiacciaio fino a circa un decennio fa, e nel tempo, a causa della frammentazione causata dall’arretramento, è rimasta isolato. Qui è avvenuto il distaccamento che ha rapidamente generato una valanga di 64mila tonnellate di acqua, ghiaccio e detriti che è scesa per circa 2,3 chilometri lungo il fianco della montagna. Secondo l’Università di Parma che ha diffuso l’esito dello studio “la fitta rete di crepacci insieme alla morfologia e alle proprietà fisiche della superficie basale hanno predisposto questo settore glaciale al collasso”. Le infiltrazioni hanno prima sollevato la porzione superiore del ghiacciaio per poi spingere verso valle quella inferiore, innescando così il collasso.

Il primo studio a fornire evidenza scientifica sulla vicenda

A condurre la ricerca sono stati i docenti Roberto Francese dell’Università di Parma e Aldino Bondesan dell’Università di Padova. I risultati sono poi stati pubblicati sulla rivista scientifica “Geomorphology” e ripresi anche dalla rivista “Nature”. Lo studio ha preso in considerazione fattori metereologici e climatici riscontrati nell’area delle Dolomiti, insieme a una serie di rilievi geofisici effettuati direttamente sul ghiacciaio prima e dopo il crollo in collaborazione. A supporto degli scienziati anche le immagini satellitari delle aree interessate riprese nel trentennio precedente e immediatamente prima e dopo l’evento. Come spiega il prof. Roberto Francese, “il distacco è stato in gran parte causato da un cedimento lungo un crepaccio mediano, allargatosi nell’ultimo decennio, riempito da un volume di almeno 12mila metri cubi di acqua di fusione generato dalle temperature altamente anomale della tarda primavera e dell’inizio dell’estate 2022 con valori di quasi 4 °C superiori alle medie del periodo”.

Perché quella della Marmolada era una tragedia annunciata

La tragedia era avvenuta nel mezzo di una delle estati più calde di sempre, in Italia come in Europa, anticipata da un inverno con scarse nevicate ad alta quota. A luglio il ricercatore Renato Colucci dell’Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isp) aveva attribuito al caldo estremo la responsabilità dell’accaduto, dichiarando che le temperature avevano “verosimilmente prodotto una grossa quantità di acqua liquida da fusione glaciale alla base di quel pezzo di ghiacciaio”. Allora Colucci parlò di “totale disequilibrio” nel descrivere le condizioni climatiche ad alta quota, affermando che, con ogni probabilità, il crollo dello scorso anno rappresentava solo il primo di una serie di eventi destinati a ripetersi.

L’esito della ricerca appena pubblicata, sembra dunque dare credito all’affermazione per cui ad uccidere gli alpinisti sono stati i cambiamenti climatici e, ancor di più, il tentennamento delle istituzioni nell’affrontare concretamente una sfida così determinante per la nostra sopravvivenza.

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