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Il 2 gennaio Cuba ha festeggiato il sessantesimo anniversario della Revolución. A due mesi dal referendum che dovrà approvare la nuova Costituzione.
Sessanta anni fa, il 1 gennaio 1959, il dittatore Fulgencio Batista fuggiva da Cuba, soccombendo al Movimento del 26 luglio, guidato dal rivoluzionario Fidel Castro. Quest’ultimo, il 2 gennaio dello stesso anno prese il potere, entrando a Santiago tra la folla in festa. Quindi, sei giorni dopo, raggiunse L’Avana accedendo trionfalmente alla futura capitale.
Lo storico leader della nazione caraibica è morto il 25 novembre 2016. E il suo successore, il fratello Raul, ha lasciato le redini dell’isola a Miguel Diaz-Canel nell’aprile del 2018. Ma è stato proprio l’ultimo erede della dinastia dei Castro – ancora oggi primo segretario del Partito comunista cubano – a prendere la parola per celebrare l’anniversario della Revolución. E lo ha fatto attaccando direttamente il presidente americano Donald Trump.
“Una volta ancora – ha spiegato Raul – il governo degli Stati Uniti sembra scegliere la strada dell’ostilità contro Cuba, presentando il nostro paese pacifico e solidale come una minaccia per la regione”. Nel corso degli anni di presidenza di Barack Obama, infatti, la Casa Bianca aveva avviato una politica di apertura nei confronti dell’Avana.
Nel dicembre del 2015, uno storico riavvicinamento aveva posto le basi per una riconciliazione. Nel marzo successivo Obama sbarcò nella capitale cubana: per la prima volta dopo 88 anni un presidente statunitense metteva piede sul suolo dell’isola.
Ma l’arrivo al potere di Trump ha cambiato diametralmente le relazioni diplomatiche tra i due paesi. Il presidente americano ha deciso di mantenere l’embargo economico contro Cuba, spiegando che quest’ultima, assieme a Venezuela e Nicaragua, rappresenta una “troika della tirannia”.
“Voglio ribadire la nostra volontà di convivere in modo civile, malgrado le differenze – ha affermato Raul Castro nel suo discorso -, sulla base di relazioni di pace, rispetto e aiuto reciproco con gli Stati Uniti”. Cuba, d’altra parte, si trova in una situazione di isolamento politico, in una fase in cui nella macro-regione americana molti paesi hanno ormai governi di destra.
L’ultimo leader conservatore ad entrare in carica è stato il brasiliano Jair Bolsonaro, che ha affermato la volontà di “lottare contro i dittatori di Cuba e Venezuela, Diaz-Canel e Nicolas Maduro”. Gli unici a inviare auguri a L’Avana per il sessantesimo della rivoluzione sono stati il boliviano Evo Morales, il nicaraguegno Daniel Ortega e lo stesso leader di Caracas.
Grazie ai grandi avanzamenti sociali, in particolare sulla salute e sull’educazione, la Revolución è stata appoggiata da gran parte del popolo cubano. Il che ha contribuito alla vita estremamente lunga del regime castrista, sostenuto per decenni dall’Unione sovietica. Nell’ultimo decennio, però, la crisi ha pesato fortemente sull’economia locale, che non può più contare neppure sul sostegno del Venezuela, in particolare per l’approvvigionamento di petrolio.
“L’economia è asfissiata”, ha riconosciuto Raul Castro, accusando ancora una volta l’embargo americano, “costato nel solo 2018 4,32 miliardi di dollari” a Cuba. Il fratello di Fidel ha quindi lanciato un appello a ridurre le spese inutili, a diversificare le esportazioni e ad incoraggiare gli investimenti esteri.
Il 24 febbraio 2019, il governo indirà un referendum tra la popolazione, al fine di approvare una nuova Costituzione che riconosce la proprietà privata e il mercato, senza tuttavia rinunciare all’obiettivo di una società comunista. Un’enorme sfida per Diaz-Canel.
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