
205 elefanti sono deceduti in Kenya a causa della mancanza di acqua. La siccità crea problemi anche per altre specie animali africane.
La mancanza di informazioni affidabili sui cambiamenti climatici è un problema sia per gli abitanti locali che per i ricercatori scientifici.
L’Africa è un continente estremamente vulnerabile di fronte alle azioni umane sull’ambiente e ai fenomeni meteorologici, ma l’immagine che abbiamo della situazione attuale e delle sue conseguenze potrebbe essere solo parziale. Raccogliere dati precisi riguardo all’impatto dei cambiamenti climatici e alle sue conseguenze sul breve, medio e lungo termine rappresenta infatti una sfida non facile, principalmente perché le agenzie locali o le Ong presenti sul campo non hanno a disposizione gli strumenti necessari per valutare correttamente l’intensità dei fenomeni e formare previsioni affidabili. Ciò che sappiamo, quindi, potrebbe essere incompleto o non del tutto accurato.
Come spiega il Washington Post, le conseguenze sono concrete sia per quanto riguarda gli abitanti locali, che spesso vengono colti alla sprovvista da cicloni, inondazioni o periodi di siccità, che per i ricercatori che invece non possono calcolare correttamente la portata dei fenomeni e le misure necessarie per prevenirli o contenerli.
Il problema è particolarmente sentito in Kenya – tra gli stati più popolosi ed economicamente avanzati dell’intero continente africano – dove i fondi per il centro meteorologico locale sono calati dai 19,5 milioni di dollari ricevuti nel 2019 – a fronte dei 52,4 milioni di dollari richiesti – ai 13 milioni di quest’anno.
Un aiuto è dato dalle stazioni fornite dal Trans-African Hydro-Meteorological Observatory (Tahmo), un progetto che gestisce 626 piccole stazioni meteo in 20 Paesi africani, di cui 115 in Kenya. Tahmo condivide i propri dati con le autorità statali, ma la portata delle ricerche rimane comunque limitata.
Le difficoltà nell’accesso a informazioni aggiornate e affidabili diventa un problema concreto quando spostiamo l’attenzione sulle crisi in atto. In Kenya, per esempio, a causa di un intenso periodo di siccità più di due milioni di persone stanno soffrendo la fame e dovranno affrontare una situazione di forte insicurezza alimentare almeno per i prossimi sei mesi.
Come riportato dall’International Rescue Committee (Irc), nelle aree a est e a sud del Paese è per ora caduto soltanto il 51 per cento delle piogge normalmente previste, causando importanti perdite per i raccolti e mettendo a rischio la sopravvivenza degli abitanti locali.
La situazione è preoccupante al punto che lo so scorso 8 settembre il presidente Uhuru Kenyatta ha definito la siccità che sta interessando diverse aree del Paese come un “disastro nazionale”, e ha chiesto alle autorità statali di accelerare gli sforzi per fornire assistenza alle persone direttamente colpite tramite programmi per la distribuzione di cibo, acqua e altre risorse essenziali.
I cambiamenti climatici rappresenta una delle cause principali della siccità in Kenya. Secondo un report rilasciato a maggio 2021 da Christian Aid – un’organizzazione umanitaria gestita da 41 Chiese nel Regno Unito e in Irlanda – il Paese è “altamente vulnerabile” alle alterazioni climatiche, e gli ultimi studi in materia prevedono che tra il 2000 e il 2050 le temperature si alzeranno di 2,5 gradi centigradi. Allo stesso tempo, le piogge diventeranno più intense e meno prevedibili, e la siccità continuerà a rappresentare un problema per quanto riguarda la sicurezza alimentare e la disponibilità d’acqua nel Paese.
La mancanza d’acqua e le scarse condizioni igieniche che ne derivano favoriscono inoltre la diffusione di malattie potenzialmente mortali, come la malaria o la dengue, e la pandemia di Covid-19, tutt’ora in corso, non fa altro che peggiorare la situazione e aumentare la pressione sul sistema sanitario keniota. Infine, un’ulteriore complicazione è rappresentata dall’invasione delle locuste, con il Paese sta nuovamente facendo i conti dopo 70 anni di tregua.
“La siccità attuale ci riporta alla mente la grande carestia del 2011”, ha affermato Mohammed El Montassir Hussein, direttore di Irc per il Kenya. “Siamo molto preoccupati a causa dei crescenti bisogni umanitari di coloro che abbandonano le proprie case in cerca d’acqua. Il bestiame sta morendo e uomini, donne e bambini sono affamati e assetati”.
Una valutazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) dello scorso luglio ha stimato che per rispondere in modo efficace al problema della siccità il governo avrebbe bisogno di 9,4 miliardi di scellini kenioti (pari a circa 73 milioni di euro) per il periodo luglio – novembre 2021, di cui 5,8 miliardi di scellini da destinare a interventi in ambito alimentare. In Kenya, e in molte altre parti dell’Africa, la situazione rimane critica.
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