
Cosa è successo e cosa possiamo imparare dal crollo del ghiacciaio del Birch.
Se la desertificazione aumenta, la CO2 no. O meglio, una parte della CO2. La strana rivelazione arriva da uno studio di un gruppo di scienziati dell‘Università di Washington capeggiati dal biologo R. Dave Evans, secondo cui le zone aride, al pari delle foreste, sono in grado di “catturare” anidride carbonica, anche se in quantità nettamente
Se la desertificazione aumenta, la CO2 no. O meglio, una parte della CO2. La strana rivelazione arriva da uno studio di un gruppo di scienziati dell‘Università di Washington capeggiati dal biologo R. Dave Evans, secondo cui le zone aride, al pari delle foreste, sono in grado di “catturare” anidride carbonica, anche se in quantità nettamente minore.
La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Nature Climate Change e ha reso noti dati raccolti nell’arco di un decennio. Sono state prese in esame nove aree ottagonali nel deserto del Mojave, negli Stati Uniti: tre sono state esposte ad una concentrazione di anidride carbonica pari a 550 parti per milione (ppm), ossia il livello che probabilmente si raggiungerà nel 2050, altre tre aree sono state esposte ad una concentrazione di 380 ppm (il livello attuale) e le ultime tre sono state usate come controllo.
Dalle analisi riguardanti la biomassa e il terreno fino a un metro di profondità, è stato possibile verificare che gli ecosistemi aridi possono assorbire una piccola percentuale del carbonio atmosferico. Questo avviene soprattutto nella rizosfera, ossia la zona vicino alle radici delle piante, popolata da microrganismi.
In base allo studio del team di Evans, si calcola che i deserti potranno assorbire dal 4 all’8 per cento della CO2 emessa globalmente. Una magra consolazione, visto che si stima che nel 2050 saranno 200 milioni i profughi nel mondo per cause ambientali, tra cui anche la desertificazione.
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