10 cose da sapere a proposito di moda sostenibile

Fare acquisti responsabilmente è più facile di quello che sembra: ecco le dieci cose da tenere in mente se si vuole investire in moda sostenibile.

Se c’è un termine che oggi è in particolar modo abusato è quello di moda sostenibile: con il crescere della consapevolezza riguardo il grave impatto ambientale che i nostri vestiti arrecano al Pianeta – l’industria tessile è responsabile del 10 per cento delle emissioni globali di gas serra ogni anno: 654 chili di CO2 equivalente vengono prodotti a persona nella sola Unione europea – crescono anche le definizioni che inneggiano a prodotti “green”.

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L’industria tessile produce il 10% delle emissioni totali di CO2 © Inspirationfeed/Unsplash

Moda sostenibile, i requisiti minimi

Taglio delle emissioni di CO2, lotta alla sovrapproduzione, riduzione dell’inquinamento e dei rifiuti, sostegno alla biodiversità e garanzia delle condizioni in cui operano i lavoratori tessili (percepiscono un salario equo? Le condizioni di lavoro sono sicure?) sono i criteri fondamentali da verificare perché si possa parlare di sostenibilità di un prodotto.

Considerando quanti sono i fattori che incidono sulla sostenibilità o meno di un prodotto, ci sono ancora troppi pochi marchi che, ad oggi, riescono a soddisfarli tutti o quasi. Abbiamo più volte parlato di greenwashing: acquistare prodotti per il solo fatto che vengano definiti sostenibili da chi li produce non è sufficiente. Per fare scelte in linea con la tutela dell’ambiente e dei lavoratori dobbiamo ripensare dalle fondamenta le nostre abitudini di acquisto riguardo al tessile. Molte accortezze cruciali possono sembrare delle banalità, ma la verità è che non lo sono e, soprattutto, sono adottate da una parte di persone ancora troppo minoritaria. Ecco dieci cose da tenere in mente quando si acquistano capi di abbigliamento o accessori.

  1. Comprare meno, comprare meglio
  2. Conoscere i materiali
  3. Evitare il poliestere
  4. Controllare la composizione dei capi
  5. Scegliere materiali alternativi alla pelle
  6. Domandarsi chi ha prodotto quel capo
  7. Prendersi cura dei propri vestiti
  8. Usare filtri per la lavatrice
  9. Investire in vintage e second hand
  10. Noleggiare

Comprare meno, comprare meglio

Secondo un report pubblicato nel 2021 dal Parlamento europeo, nel vecchio continente vengono comprati ogni anno in media quasi 26 chili di prodotti tessili a persona: rispetto agli anni Novanta, ognuno di noi fa acquisti per il 40 per cento in più. Un’enormità se si pensa poi a quanto effettivamente indossiamo tutto ciò che compriamo. Tutta questa frenesia di acquisto ha come diretta conseguenza la sovrapproduzione: un report diffuso da McKinsey Sustainability già nel 2016 stimava che la produzione di abiti avesse sfondato il tetto dei 100 miliardi prodotti ogni anno. È un dato oggettivo che tutti questi abiti non ci servono. Non tutti insieme, almeno. Di fronte a una nuova T-shirt, un nuovo maglioncino o un paio di scarpe, è opportuno chiedersi: mi serve davvero? Quante volte lo indosserò? Ho già qualcosa di simile nel mio armadio?

Conoscere i materiali

Conoscere l’impatto ambientale dei materiali è fondamentale quando si tratta di effettuare acquisti più sostenibili. Una buona regola è quella di investire in tessuti prodotti a partire da fibre naturali o bio-based: questo sia perché il loro peso in termini di emissioni è minore rispetto a quelle sintetiche, sia perché sono più facilmente riciclabili.

Materiali come lana, seta e cotone non sono però tutti uguali, per questo è importante conoscere le varie certificazioni: il cotone organico o riciclato – Ocs (Organic content standard), Gots (Global organic textile standard), Grs (Global recycled standard) – impiega meno acqua e meno sostanze chimiche rispetto a quello più comune, così la lana vergine o rigenerata e la seta non violenta.

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Un acquisto consapevole predilige fibre tessili naturali come la lana vergine © Anastasia Zhenina/Unsplash

Evitare il poliestere

Il poliestere non riciclato invece, essendo un derivato del petrolio, non solo è molto impattante a livello di emissioni necessarie per produrlo, ma è anche molto difficile da smaltire. Le fibre sintetiche hanno tempi biblici per degradarsi e gli indumenti realizzati con un’alta percentuale di poliestere rilasciano microplastiche ad ogni lavaggio. Oggi come oggi, circa il 60 per cento degli indumenti prodotti a livello globale è realizzato in tutto o in parte con fibre sintetiche derivate da petrolati: una buona abitudine è quella di controllare sempre la presenza o meno di queste fibre in capi all’apparenza 100 per cento cotone o 100 per cento lana. Grazie alle sue molteplici qualità il poliestere è molto utilizzato nell’abbigliamento tecnico: si può puntare però su brand che impiegano Econyl riciclato: una fibra prodotta da Acquafil a partire dalle reti da pesca dismesse.

Fare attenzione alla composizione

Saper leggere l’etichetta non è cosa da poco se si intende fare acquisti che vogliano dirsi green. Prima di tutto, bisogna controllare se un capo è composto interamente dallo stesso materiale, quindi è 100 per cento lana, è 100 per cento cotone e così via: se così, è più facilmente riciclabile. Se al contrario è composto da più fibre diverse, dovrà essere spesa dell’energia perché questo possa avere una nuova vita. Anche le lavorazioni incidono: più un indumento è colorato o stampato e più il suo processo produttivo sarà stato impattante. Contiene del lurex o degli inserti plastici? Sarà più difficile da riciclare, e così via.

Finta pelle bio-based

Oggi esistono moltissime alternative ecologiche alla pelle, ma non sono tutte uguali. Quelle che contengono poliestere, infatti, non sono un’opzione che si possa definire sostenibile. La ricerca e lo sviluppo negli ultimi anni hanno fatto incredibili passi avanti e alcuni tessuti ricreano in maniera fedele il feeling della pelle vera come Orange Fiber, la pelle ricavata dalla buccia delle arancePinatex, dalle bucce di ananas e Mylo, dalla radice dei funghi o mycelium.

pelle vegana fughi
Esiste una similpelle vegana ricavata dalla radice dei funghi, si chiama Mylo © Jesse Bauer/Unsplash

Chi ha prodotto quello che stiamo comprando?

Una componente cruciale, quando si parla di sostenibilità, riguarda il trattamento dei lavoratori tessili: chi ha realizzato l’indumento o l’accessorio che stiamo comprando è stato pagato abbastanza? Lavora in condizioni di sicurezza? La pandemia da Covid-19 ha messo in grossa difficoltà i produttori tessili che, in molti casi, hanno riversato il problema sui propri lavoratori. Una scelta etica è quella di prediligere i brand che divulgano apertamente informazioni sia sulle loro fabbriche sia sulle loro politiche in fatto di salari e condizioni di lavoro.

lavoratori industria tessile
Uno dei requisiti fondamentali per valutare la sostenibilità dei capi è affidarsi a brand che siano trasparenti in merito al trattamento dei lavoratori © Remy Gieling/Unsplash

Prendersi cura dei propri vestiti

Il modo in cui trattiamo gli indumenti non solo determina la loro durata, ma ha anche un impatto sull’ambiente. Lavare a basse temperature consente di mantenere più a lungo i capi in condizioni ottimali; evitare di utilizzare l’asciugatrice, oltre a far risparmiare energia, evita l’ulteriore dispersione nell’ambiente di microplastiche. Un ulteriore passaggio dopo il lavaggio determina poi una maggiore usura degli indumenti che, così, avranno vita più breve. Lavare troppo spesso è dannoso sia per i capi che per l’ambiente: i jeans, ad esempio, non andrebbero proprio lavati, ma ci sono dei trucchi per pulirli. Anche in questo caso è cruciale porre molta attenzione all’etichetta per prendersi cura di indumenti e accessori nel modo giusto. Allungare la vita dei nostri abiti è cruciale per abbattere le emissioni ed evitare gli sprechi.

Usare filtri per la lavatrice

Evitare in toto il poliestere non riciclato oggi come oggi è quasi impossibile, ma per evitare una massiccia dispersione di microplastiche ad ogni lavaggio è utile investire in sacchetti per la lavatrice costruiti apposta per catturare le particelle sintetiche durante i lavaggi. Il più popolare è Guppyfriend. Inventato da alcuni surfisti tedeschi, ha una duplice funzione: da un lato trattiene le microplastiche con un diametro superiore a 15 μm, e dall’altro protegge gli indumenti durante il lavaggio.

Investire in vintage e second hand

Comprare abiti vintage ha il suo fascino: sia perché si ha la possibilità di raccontare qualcosa di epoche passate, e poi perché così facendo non si mette in circolazione un nuovo prodotto. Non a tutti piace l’estetica retrò: ecco che retailer come Vestiaire Collective e Depop offrono prodotti second hand contemporanei e anche un’ampia selezione di brand del lusso.

vintage
Investire in vintage o second hand è un buon modo per fare acquisti responsabilmente © Markus Winkler/Unsplash

Noleggiare

Quando si ha un’occasione particolare – una cerimonia o un evento importante di lavoro in cui esiste un dress code da rispettare –, la soluzione più semplice e immediata è quella di andare a comprare qualcosa di nuovo ad hoc. Acquistare abiti e accessori per uno specifico momento però implica il rischio che questi non vengano indossati così frequentemente. Ne vale davvero la pena? Questa è una domanda da porsi tanto in un’ottica di risparmio, quanto di tutela ambientale. Oggi come oggi esistono varie opzioni, tra cui ad esempio quella del noleggio: siti come Drexcode o Dress you can offrono un’ampia selezione sia di brand che di mood.

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