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Disturbi specifici dell’apprendimento (Dsa): come la tecnologia è al servizio della didattica
Per la Giornata internazionale degli studenti, facciamo il punto sui disturbi specifici dell’apprendimento (Dsa) e sul supporto offerto dalla tecnologia.
- In Italia sono più di 300mila gli studenti con una diagnosi di disturbi specifici dell’apprendimento (Dsa).
- Oltre alla più conosciuta dislessia, fanno parte dei Dsa anche disgrafia, disortografia e discalculia.
- La legge 170 del 2010 riconosce i disturbi dell’apprendimento e disciplina l’utilizzo di strumenti compensativi e dispensativi.
- Un esempio è la piattaforma sviluppata da Algor Lab per sintetizzare testi lunghi e complessi sotto forma di mappe concettuali.
Il più noto è la dislessia, ovvero la difficoltà di lettura, ma fanno parte dei Dsa (Disturbi specifici dell’apprendimento) anche la disgrafia, cioè la scrittura a mano incerta e incomprensibile; la disortografia che colpisce i processi linguistici di transcodifica della scrittura; e la discalculia, con forti difficoltà nei calcoli matematici. Non si tratta di malattie, ma semplicemente di un diverso funzionamento della rete neuronale che non impedisce di leggere, scrivere o contare, ma necessita delle giuste strategie di gestione, di tempi lunghi e di maggior attenzione.
I Dsa sono disturbi innati e non transitori, invisibili e spesso difficili da diagnosticare. Per questo motivo, chi ne soffre è spesso vittima di pregiudizi e incorre in difficoltà emotive che possono compromettere la sua autostima e l’andamento del percorso scolastico e lavorativo. Eppure, sono molto più diffusi di quel che si pensa: secondo il ministero dell’Istruzione, in Italia gli studenti con Dsa conclamato sono più di 300mila, a cui si aggiungono quelli che ancora non hanno completato l’iter medico per la diagnosi.
In occasione della Giornata internazionale degli studenti, che cade il 17 novembre, nell’auspicarci un sistema scolastico attento ai bisogni di tutti, facciamo il punto sulla diffusione dei Dsa, sulle strategie messe in atto dalle scuole per supportare chi ne soffre e sull’importanza della tecnologia come strumento didattico compensativo. Lo facciamo con l’aiuto di due esperti. Mauro Musarra è co-founder della startup Algor Lab, parte dell’ecosistema di LifeGate Way, che ha sviluppato la piattaforma digitale Algor Education per la reazione di mappe concettuali. Consulente di Algor Lab è la dottoressa Barbara Urdanch, esperta di disturbi specifici dell’apprendimento, didattica inclusiva e bisogni educativi speciali.
Quanto sono conosciuti e diffusi i Dsa in Italia
Il primo dato su cui riflettere è quello delle 300mila diagnosi a livello nazionale. Un numero senza dubbio significativo che, però, da solo restituisce un quadro molto parziale. “In Italia, la consapevolezza e la diagnosi dei Dsa presentano notevoli variazioni regionali“, spiega Mauro Musarra. “Le statistiche più recenti indicano che in alcune regioni del nord la frequenza di diagnosi si avvicina al 10 per cento degli studenti, suggerendo una maggiore sensibilizzazione e accesso a servizi di supporto. Tuttavia, tale consapevolezza scende in modo significativo quando ci spostiamo verso il sud. Questi dati mettono in luce una disparità territoriale nella gestione dei Dsa, evidenziando l’importanza di un supporto educativo adeguato a livello nazionale. È fondamentale sottolineare che i Dsa possono influenzare in modo significativo il percorso educativo degli individui e la mancanza di diagnosi o supporto adeguato può comportare sfide notevoli. Si stima che circa una persona su quattro in Italia non sia autonoma nello studio a causa di questi disturbi, sottolineando l’urgenza di fornire un sostegno adeguato a garantire un’istruzione inclusiva e di qualità”.
Gli fa eco Barbara Urdanch, secondo cui “ormai i Dsa sono piuttosto conosciuti in termini di ‘sentito dire’, ma manca ancora una reale consapevolezza soprattutto in merito alla conoscenza delle neurodiversità in genere”. Spesso, infatti, gli studenti con Dsa vengono erroneamente etichettati come svogliati o poco motivati, poiché mostrano difficoltà nello svolgere attività considerate semplici e scontate. In realtà le persone con Dsa hanno un’intelligenza perfettamente nella norma: semplicemente hanno caratteristiche neurologiche differenti e, con i giusti supporti, possono raggiungere i medesimi risultati dei coetanei. Alcuni passi avanti in questo senso sono arrivati nel 2010 con l’introduzione della legge n.170 che riconosce i disturbi dell’apprendimento e disciplina l’utilizzo di strumenti compensativi e dispensativi. “La legge 170 ha permesso alle scuole di conoscere meglio i Dsa e di approfondire le necessità dei soggetti con bisogni educativi speciali in generale”, spiega Barbara Urdanch. “La legge prevede la stesura di un piano didattico personalizzato, da cui consegue l’uso di strumenti compensativi e dispensativi e di forme di valutazione adeguate. Le scuole sono sempre più competenti in termini di inclusione, ma esistono ancora pregiudizi e poca conoscenza. Molto è stato fatto, ma molto è ancora da fare”.
Come creare un ambiente didattico davvero inclusivo
Perché gli studenti possano seguire i propri percorsi di apprendimento in modo efficace, è fondamentale creare un ambiente didattico inclusivo a tutti i gradi di istruzione. Il sistema scolastico italiano, in particolar modo dopo l’avvento della legge 170, punta molto sulla personalizzazione del piano didattico e si pone l’obiettivo di rendere gli alunni con Dsa il più possibile autonomi. Di base, infatti, questi ragazzi e ragazze devono affrontare ostacoli e sfide aggiuntive rispetto ai propri compagni: per permettere loro di vivere questo percorso senza sentirsi “diversi” o inferiori, servono scuole dotate dei giusti supporti tecnologici e servono insegnanti in grado di usarli al meglio.
In una prospettiva di inclusività, risulta dunque decisiva la capacità dei docenti di integrare la tecnologia all’interno di una progettazione didattica mirata che renda protagonista lo studente e lo faccia sentire seguito e capito, favorendo allo stesso tempo un clima di fiducia e dialogo all’interno della classe. Ma il sogno di una scuola inclusiva per tutti, come spesso succede nel nostro paese, si scontra con una realtà segnata da pregiudizi, scarsa preparazione, difficoltà economiche e burocratiche. Per ovviare a questo problema, garantendo il diritto allo studio e le pari opportunità agli studenti con Dsa, l’Associazione italiana dislessia (Aid) ha ideato una biblioteca digitale che consente loro di richiedere il formato pdf aperto dei testi scolastici di ogni ordine e grado.
La tecnologia per aiutare gli studenti a essere autonomi e ritrovare fiducia in sé stessi
Per chi soffre di dislessia, infatti, si rivelano un valido aiuto i libri digitali in pdf che possono essere letti da programmi dotati di sintesi vocale. Appositi software permettono anche di sottolineare ed esportare immagini e parti di testo, per creare mappe concettuali. Queste ultime sono di grande supporto a chi soffre di disturbi dell’apprendimento, poiché sintetizzano lunghi testi sotto forma di box o cerchi collegati con frecce. Algor Education è nata proprio per permettere agli studenti, attraverso l’intelligenza artificiale, di creare, modificare e condividere mappe concettuali e multimediali in una comoda lavagna digitale.
“Gli strumenti come Algor offrono opportunità significative per migliorare l’educazione degli studenti con Dsa”, spiega Mauro Musarra. “La personalizzazione dell’apprendimento e l’accessibilità dei materiali didattici possono avere un impatto profondo sul loro percorso educativo. Inoltre, la capacità di Algor di rendere il materiale di studio più comprensibile e interattivo può incentivare gli studenti a impegnarsi di più. L’incremento dell’autonomia nello studio è cruciale per gli studenti con Dsa e strumenti come Algor possono svolgere un ruolo importante nell’incoraggiarli a diventare più indipendenti”.
La tecnologia, quindi, concorre al successo formativo perché stimola a ripetere, genera competenza, permette di accedere e fare proprie le informazioni e limita l’insorgere di demotivazione e frustrazione. “Le tecnologie sono indispensabili per i soggetti con Dsa”, conferma la dottoressa Urdanch, “perché possono manlevare alcuni processi legati agli automatismi e permettere che la loro ‘batteria cognitiva’ sia completamente dedicata all’apprendimento e allo studio. Le tecnologie sono, di fatto, ‘il libro e la matita’ dei soggetti con Dsa: non ne inficiano il carico cognitivo, che va salvaguardato perché hanno un quoziente intellettivo nella norma, ma permettono la compensazione di alcuni processi fragili dovuti alla neurodiversità. Le tecnologie possono leggere, correggere gli errori, permettere la costruzione di mappe concettuali; non ‘pensano’ al posto del soggetto con Dsa, ma gli permettono di compensare le difficoltà specifiche derivanti dalla neurodiversità”.
Tecnologia buona o cattiva?
In chiusura, non potevamo non chiedere ai due esperti di prendere una posizione sull’annosa questione: esistono una tecnologia “buona” e una tecnologia “cattiva”? “A mio avviso la tecnologia è sempre buona, cattivo può essere l’uso che se ne fa”, risponde Barbara Urdanch. Secondo Musarra, “è innegabile che qualsiasi tecnologia, compresa l’intelligenza artificiale, possa presentare delle sfide: queste possono includere questioni etiche, di privacy, di sicurezza dei dati e di possibile disuguaglianza nell’accesso alle risorse. Per affrontare queste sfide, è essenziale che ci siano aziende responsabili come Algor che si impegnano a costruire prodotti con vincoli etici e attenti all’impatto che la tecnologia dovrebbe avere. È importante che lo sviluppo dell’intelligenza artificiale proceda con una regolamentazione adeguata e con una progettazione che metta il focus su benefici ed equità”.
“Guardando al futuro, un’app come Algor può essere ancora più efficace se continua a integrare i progressi dell’intelligenza artificiale per affinare ulteriormente la personalizzazione dell’apprendimento, conclude Musarra. “Con l’evoluzione delle tecnologie di machine learning e natural language processing, Algor potrebbe offrire interazioni ancora più fluide e naturali, rendendo l’esperienza di apprendimento ancora più coinvolgente e intuitiva, facilitando anche le connessioni tra studenti di diverse parti del mondo in un’ottica di scambio culturale”.
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