Messico. Tra omicidi e attentati si sono tenute le elezioni più violente di sempre

97 politici uccisi durante la campagna elettorale, un migliaio di attentati, assalti alle urne. Il voto in Messico è stato all’insegna della violenza.

Il sangue non ha mai smesso di scorrere in Messico in occasione delle elezioni del 6 giugno. Già nei mesi scorsi era stato registrato un record di omicidi di candidati e politici, da settembre 2020 se ne sono contati 97. E anche il giorno del voto, con cui si doveva rinnovare la Camera dei deputati in una sorta di midterm all’americana, oltre che diversi governatori e migliaia di sindaci, è stato segnato dalle violenze. Intanto i risultati hanno confermato la maggioranza all’attuale presidente Andrés Manuel López Obrador, sebbene con un margine inferiore alle aspettative che gli renderà più difficile il percorso delle riforme.

Elezioni sporche di sangue

Il 6 giugno il popolo messicano è stato chiamato alle urne per rinnovare la Camera dei deputati, oltre che per eleggere diversi rappresentati regionali e locali. Il sistema politico messicano non è tanto diverso da quello degli Stati Uniti, a metà del mandato del presidente si tiene un voto sul Parlamento che può ampliare, ridurre o togliergli la maggioranza. Le violenze in queste occasioni non sono una novità. Nel 2016, all’ultima tornata elettorale di questo tipo, vennero uccisi 61 candidati e politici nei nove mesi precedenti al giorno di apertura delle urne. Quest’anno i numeri sono saliti ulteriormente, facendo segnare quello che viene definito un record nella storia del paese. 

Almeno 97 candidati e politici locali sono stati uccisi, di cui una trentina solo nell’ultimo mese. A questo si aggiungono quasi un migliaio di attentati denunciati. Decine di politici hanno deciso di rinunciare alla propria corsa elettorale a causa delle minacce ricevute, tra proiettili a casa, teste mozzate di maiale e messaggi minatori. E anche nel giorno del voto le cose non sono andate meglio. Cinque impiegati nei seggi elettorali sono stati uccisi, granate sono state rinvenute in un seggio, in altri sono comparsi resti umani in sacchi di plastica, uomini armati hanno assaltato alcune urne, due candidati sono stati rapiti, picchiati e poi rilasciati diverse ore dopo.

Le violenze di questi mesi hanno avuto natura prettamente locale, a differenza del passato quando attentati e omicidi colpivano anche politici di più alto rango. I gruppi di narcotrafficanti sono sempre più segmentati, la dimensione locale e il radicamento al territorio è oggi più forte che mai e il modo con cui questi gruppi criminali si assicurano le loro attività e il loro spazio di manovra non passa più dalle pressioni e le minacce alla politica nazionale, quanto dall’influenza su quella municipale.

La vittoria zoppa di López Obrador 

I risultati del voto hanno confermato che il presidente Andrés Manuel López Obrador continuerà a godere della maggioranza assoluta alla Camera dei deputati, ma questo solo grazie alla coalizione di cui fa parte. Il suo partito Morena deteneva infatti 253 deputati su un totale di 500, da solo dunque superava la soglia del 50 per cento. Ora invece ha perso qualcosa come 60 seggi, un risultato comunque indolore dal momento che assieme alle altre forze di governo si raggiungono 279 deputati.

Il presidente del Messico Andrés Manuel López Obrador al voto
Il presidente del Messico Andrés Manuel López Obrador al voto © Manuel Velasquez/Getty Images

I messicani hanno insomma rinnovato la fiducia a López Obrador, che dall’inizio del mandato gode di ottimo consenso, ma in modo decisamente più contenuto di quanto ci si aspettasse, quantomeno a livello nazionale. A livello regionale invece la coalizione di governo ha portato a casa 9 governatori su 15, un risultato positivo.

Il vero obiettivo del presidente era di raggiungere la maggioranza qualificata dei due terzi alla Camera, ma è rimasto molto lontano. Il superamento della soglia avrebbe infatti permesso a López Obrador di mettere in pratica un pacchetto di riforme drastiche chiamato Quarta trasformazione, che richiede un sostegno particolarmente forte. Il presidente appartiene allo spettro politico del centrosinistra e durante questi suoi anni di mandato ha sempre puntato il dito contro le politiche neoliberiste dei suoi predecessori. La sua volontà è quella di portare il Messico in una nuova era di nazionalizzazioni, in particolare nel settore petrolifero, per poi finanziare con questi proventi un più solido welfare state. Finora le aspettative sono state deluse e le principali problematiche sociali del Messico, la criminalità e la povertà, non hanno fatto altro che peggiorare, mentre López Obrador si è contraddistinto più che altro per un accentramento eccessivo dei poteri.

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