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L’analisi del voto indica che Hillary Clinton ha ottenuto più suffragi di Donald Trump. E se avessero votato solo i millennials avrebbero trionfato.
Hillary Clinton ha “vinto” le elezioni presidenziali americane del 2016, anche grazie alla generazione dei millennial. Non sarà lei il 45esimo presidente degli Stati Uniti d’America, ma da un punto di vista meramente proporzionale è proprio così. La candidata democratica ha infatti ottenuto più voti rispetto al suo avversario repubblicano. I conteggi non sono ancora definitivi, ma ormai indicano in modo chiaro la dinamica: alla moglie dell’ex presidente sono andati finora 59,92 milioni di voti, contro i 59,69 milioni di Donald Trump.
A far pendere l’ago della bilancia verso il magnate statunitense è stata dunque la distribuzione dei suffragi, che gli ha consentito di vincere in praticamente tutti gli “swing states”. Ma il dato che appare più eclatante è lo scarto di voti rispetto alla tornata precedente. Nel 2012, infatti, Barack Obama ottenne quasi 66 milioni di voti, il che significa che Hillary Clinton ne ha persi circa 6 milioni rispetto all’attuale presidente.
Al contrario Trump potrebbe chiudere con un calo ben più contenuto rispetto alla performance che quattro anni prima fece registrare il candidato repubblicano Mitt Romney: a separarli sarà probabilmente solo un milione di voti. Ma come si spiega la distanza così ampia tra i risultati ottenuti da Obama e quelli della Clinton? La risposta (o almeno una parte di essa) è nell’analisi delle scelte effettuate da giovani e meno giovani, così come dagli elettori di Bernie Sanders, l’altro candidato democratico che – da sinistra – aveva conteso la nomination a Hillary durante le primarie.
Un dato inequivocabile arriva proprio dal voto dei cosiddetti “millennials”, ovvero i ragazzi di età compresa tra 18 e 29 anni, chiamati anche “generazione Y”. Ebbene, se avessero votato solamente loro alle ultime elezioni, Hillary Clinton avrebbe stracciato il proprio avversario. Il 55 per cento ha infatti scelto la candidata democratica, contro il 37 per cento andato a favore di Trump. Un vantaggio che si riduce ampiamente nella fascia 30-44 (50 per cento contro 42) e che si inverte a favore del miliardario repubblicano dai 43 anni in poi.
Le vote Trump–Clinton selon diverses catégories (sondage sorti des urnes du NYT) pic.twitter.com/5YJMa5f08F
— Philippe Berry (@ptiberry) 9 novembre 2016
La cartina degli Stati Uniti quasi completamente colorata di blu (ovvero a favore dei democratici) in caso di voto unicamente tra i giovani è più che chiara. Ma attenzione a concludere che, in generale, i ragazzi di oggi rifuggono le proposte politiche estreme: in Francia alle ultime elezioni regionali è accaduto proprio il contrario, con il Front National di Marine Le Pen che ha ottenuto il 35 per cento a livello nazionale tra i meno di 24 anni.
Here are the election results if only millennials voted… Progress is the longterm future of this country for both parties. pic.twitter.com/8TxWcD7tg5
— Jon Cozart (@JonCozart) 9 novembre 2016
Ma la chiave della vittoria di Trump è chiaramente negli stati in bilico, che sono andati quasi tutti dalla sua parte. Ohio, Florida, Pennsylvania, Iowa, Michigan e Carlina del Nord: un’ecatombe per Hillary Clinton. In quattro dei sei “swing states” il calo dell’affluenza alle urne è stato particolarmente sensibile rispetto al 2012. In particolare, si notano diminuzioni della partecipazione più importanti negli stati che avevano maggiormente sostenuto Bernie Sanders nel corso delle primarie.
Il candidato “più di sinistra” tra i democratici aveva ad esempio ottenuto un’ottima performance nell’Iowa, dove il calo dell’affluenza è risultato sei volte più ampio rispetto alla media nazionale. In generale, sui 22 stati che furono conquistati da Sanders, solo sette hanno fatto registrare una (modesta) crescita dell’affluenza. Certo, in molti casi si tratta di risultati che non hanno inciso sulla sconfitta di Clinton, ma sono utili per comprendere l’attitudine degli elettori di Sanders anche negli “swing states”.
Secondo un’analisi del quotidiano francese Mediapart, infatti, “la dinamica Sanders è stata decisiva nel risultato finale dell’elezione presidenziale. Una parte significativa dei suoi sostenitori ha scelto di non votare per una candidata con la quale condivideva molto poco”.
Sul fronte repubblicano, invece, i risulatati sembrano essere più “tradizionali”. A votare per il magnate, infatti, è stato in media un elettore maschio, bianco, con bassi titoli di studio, che abita in un contesto rurale e che ha più di 45 anni. Un identikit conforme a quello che, normalmente, è solito scegliere il partito conservatore.
Come ricordato da un’analisi del Pew Research Center, occorre considerare inoltre che il 70 per cento dei votanti negli Stati Uniti è bianco. E questa categoria elettorale ha scelto in massa il campo repubblicano: 58 per cento contro il 37 di Hillary Clinton. Inoltre, il 53 per cento degli uomini ha preferito Trump, contro il 41 per cento dei voti andati ai democratici: la performance del miliardario tra gli elettori di sesso maschile è la migliore dai tempi dell’elezione di George W. Bush, nel 2000.
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