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Argo Cassiopea, Eni e il gas: tra promesse e incognite al tempo della crisi climatica
Entro tre anni, entrerà in funzione uno dei giacimenti di gas più imponenti d’Italia. Per Eni, il gas è ancora indispensabile per la transizione energetica. Per la scienza, la transizione deve essere rapida.
- Eni annuncia l’avvio dell’estrazione di gas metano nel giacimento siciliano di Argo Cassiopea.
- Il progetto punta a estrarre un miliardo e mezzo di metri cubi di gas in piena crisi climatica.
- Eni risponde alle critiche spiegando che il gas è un vettore ponte della transizione.
Nel periodo in cui il mar Mediterraneo ha fatto registrare un nuovo record di temperatura delle acque superficiali – 31,96 gradi al largo dell’Egitto a Ferragosto – è giunta una notizia che ha fatto sobbalzare le attiviste e gli attivisti e chiunque abbia a cuore il futuro del nostro pianeta. La notizia in questione riguarda la compagnia petrolifera Eni, di cui lo stato italiano è azionista, che ha annunciato l’avvio dell’estrazione di gas metano nel giacimento di Argo Cassiopea, situato nel canale di Sicilia, proprio a pochi chilometri dal luogo in cui è stato registrato il record di temperatura delle acque del Mediterraneo.
Solo pochi anni fa, il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, sottolineava l’importanza cruciale di lasciare i combustibili fossili dove sono, ovvero nel sottosuolo, per evitare che i cambiamenti climatici sfuggano definitivamente al nostro controllo (ammesso che ci sia ancora margine per controllarli). Un parere sostenuto da studi scientifici, tra cui quello pubblicato su Nature e dal titolo Unextractable fossil fuels in a 1.5 °C world. Anche l’Agenzia internazionale per l’energia (Iea), tracciando il percorso globale per arrivare ad azzerare le emissioni nette di CO2 entro il 2050 – e rispettare così l’Accordo di Parigi – ha confermato che “non sono necessari nuovi progetti upstream (esplorazione e produzione, nda) di petrolio e gas”. Eppure, nonostante i segnali climatici sempre più evidenti e le raccomandazioni degli esperti di tutto il mondo, l’esplorazione e l’estrazione di nuovi giacimenti di combustibili fossili prosegue senza sosta. La sola Eni ha avviato 552 nuovi progetti di sviluppo per i combustibili fossili dopo la firma dell’Accordo di Parigi sul clima, avvenuta nel 2015.
In cosa consiste il progetto Argo Cassiopea
Il progetto più recente, Argo Cassiopea, punta a estrarre 1,5 miliardi di metri cubi di gas (su una disponibilità di 10 miliardi) diventando così il progetto upstream più imponente attivo sul territorio italiano. Il gas, prelevato da uno dei quattro pozzi sottomarini perforati nel canale di Sicilia, sarà convogliato attraverso una condotta sottomarina lunga 60 chilometri fino all’impianto di trattamento e compressione situato nella raffineria di Gela, in provincia di Caltanissetta. Qui verrà trattato e immesso nella rete nazionale, contribuendo a coprire il fabbisogno energetico italiano. L’entrata in funzione è prevista nel giro di tre anni.
Tempi brevi, considerando che ci sono voluti 18 anni da quando sono stati scoperti i primi pozzi di gas in quest’area, tra cui quello conosciuto come Argo Cassiopea: le prime perforazioni, infatti, risalgono al 2006-2007. I rallentamenti sono dovuti al fatto che sono diversi e numerosi i soggetti che si sono opposti all’avvio dell’estrazione: la prima è stata la Regione Sicilia che nel 2010 ha dato un parere negativo alla richiesta di autorizzazione presentata dall’Eni perché contraria alle trivellazioni in mare. A questo parere son seguiti i ricorsi presentati da alcuni comuni – Santa Croce Camerina, Palma di Montechiaro, Licata e Ragusa – e da associazioni che tutelano l’ambiente come Wwf Italia e Legambiente. I ricorsi sono stati poi respinti e nemmeno l’appello al tribunale amministrativo regionale (Tar) ha fermato il progetto che, però, per ottenere il parere favorevole è cambiato rispetto alle proposte iniziali.
La versione “sostenibile” del progetto, secondo Eni
Si arriva così all’ultima versione del progetto che, come spiega Eni nel suo comunicato stampa, riserva molta attenzione all’ambiente, apportando modifiche sostanziali al progetto originale proprio per ridurre l’impatto sul territorio. Lo sviluppo, interamente sottomarino, promette di essere privo di impatti visivi e con emissioni di gas serra “prossime allo zero”. Inoltre, l’installazione di pannelli fotovoltaici da 3,6 MWp garantirà, dice ancora Eni, “la neutralità carbonica per le emissioni Scope 1 e 2”.
Scendendo nel dettaglio, Eni spiega che l’impianto fotovoltaico “sarà connesso all’impianto di estrazione gas Argo Cassiopea, contribuendo a soddisfare il suo fabbisogno di energia elettrica e, data la sua configurazione che permetterà il bilanciamento dei carichi elettrici, non sarà necessario installare sistemi di accumulo”. Il progetto verrà realizzato da Plenitude – società controllata da Eni con l’obiettivo di sviluppare energie alternative alle fossili – all’interno della raffineria di Gela, attualmente oggetto di riqualificazione ambientale per conto di un’altra controllata della Eni, la Eni Rewind. Il completamento dell’impianto solare è previsto per il 2025.
Quale impatto avrà Argo Cassiopea?
Molti sostengono che l’estrazione di gas porterà benefici economici all’Italia — Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, società di ricerca e consulenza in campo energetico e ambientale, ha addirittura parlato di “delitto economico” in riferimento alla scelta di lasciare il gas sottoterra. Eni, d’altra parte, promette circa 15 milioni di euro in royalties ai comuni di Gela, Licata e Butera: sono le tasse per il diritto di passaggio degli impianti sul territorio. Molti altri, però, fanno notare come vengano sistematicamente ignorati i costi reali dell’operazione: gli eventi meteorologici estremi, aggravati dai cambiamenti climatici, ci costano già 135 miliardi di euro all’anno, secondo lo studio pubblicato su Nature, The global costs of extreme weather that are attributable to climate change. E le estrazioni di combustibili fossili, con il metano in testa, non fanno che amplificare la violenza di questi disastri.
Per questi motivi, nonostante le rassicurazioni ambientali della società, il progetto ha sollevato molti dubbi e critiche, specialmente sulla sua effettiva sostenibilità e al rispetto dei parametri ecologici annunciati. Molti si interrogano su quanto sia realmente in linea con gli obiettivi di decarbonizzazione della società stessa (che punta a raggiungere la neutralità in termini di emissioni riferite agli obiettivi Scope 1,2 e 3 entro il 2050) e con la transizione energetica in generale.
Il fatto è che dalle informazioni tecniche disponibili non è ancora possibile determinare con precisione quale sarà l’impatto reale di questa operazione in termini di emissioni. Quel che è certo è che, in questo momento storico, le emissioni di gas serra che Eni produce ogni anno sono già oggi più alte di quelle annualmente imputabili all’Italia intera. Eni dice di voler rispettare i target di riduzione, ma la sua strategia appare in contrasto con le indicazioni scientifiche in materia climatica: la società ha infatti dichiarato di voler continuare ad aumentare la produzione di gas e petrolio almeno fino al 2027, coerentemente con la linea seguita finora.
Linea che vede il gas naturale come un vettore “ponte” per la transizione energetica, una risorsa sì fossile, ma che contribuisce alla riduzione delle emissioni di gas serra legate alla produzione di energia elettrica. Come ci ha tenuto a sottolineare l’ufficio stampa Eni coinvolto da LifeGate, tra i combustibili fossili il gas è quello con la minore impronta di CO2 e, ha aggiunto la società, si tratta di una fonte ancora indispensabile poiché le energie rinnovabili da sole non possono coprire rapidamente il fabbisogno energetico globale.
Inoltre, la multinazionale ha voluto assicurare che il peso del gas diminuirà progressivamente al crescere delle fonti rinnovabili e, sempre gradualmente, sostituirà le altre fonti fossili più inquinanti: secondo le proiezioni fornite, il gas metano rappresenterà il 60 per cento della produzione di idrocarburi entro il 2030 e oltre il 90 per cento entro il 2050, con un graduale abbandono di carbone e petrolio.
Eni non è tra i maggiori investitori della transizione
Eppure, la potenza rinnovabile da installare deve triplicare da qui al 2030, come peraltro stabilito nel corso della Cop28, la conferenza sul clima di Dubai del dicembre 2023. Un obiettivo considerato raggiungibile, ma a rischio proprio a causa dei continui investimenti nei combustibili fossili.
Lo dice anche il recente rapporto sulla competitività commissionato a Mario Draghi dalla Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen. Nel testo – che contiene una serie di raccomandazioni di stampo economico affinché l’Europa assuma sempre di più un ruolo non subalterno rispetto a Stati Uniti e Cina – si legge che i prezzi al dettaglio e all’ingrosso del gas sono attualmente da tre a cinque volte superiori a quelli di Washington e Pechino. Certo, la strategia perseguita da Eni di estrarre il gas in Italia servirebbe a ridurre l’importazione di gas dall’estero e questo potrebbe generare benefici economici. Ma è oggettivo che il mercato, nel breve termine, è orientato a un massiccio potenziamento delle energie rinnovabili. E le raccomandazioni di Draghi vanno in questa direzione: l’ex presidente del Consiglio suggerisce di disaccoppiare la remunerazione delle fonti rinnovabili dalla generazione fossile (ovvero, che il prezzo della prima non dipenda dalla seconda), di adottare pratiche per incoraggiare l’autoproduzione di energia, snellire gli iter burocratici e amministrativi che bloccano la nascita di nuovi impianti.
È paradossale che, in un contesto di questo tipo, in cui le aziende europee concorrono a rendere l’Europa più competitiva e sostenibile, Eni non intenda aumentare in modo considerevole gli investimenti nelle rinnovabili: dal 2023 al 2026, la multinazionale investirà da 6 a 6,5 miliardi di euro all’anno nelle sue attività upstream (di cui 2,1 miliardi di euro nell’esplorazione), mentre solo 1,65 miliardi di euro all’anno saranno dedicati alle energie rinnovabili, ossia meno del 20 per cento degli investimenti previsti. Con investimenti così modesti, nel 2030, la quota massima di rinnovabili nel mix di fornitura energetica di Eni rimarrebbe al di sotto del 7 per cento. Per la transizione, sono solo briciole.
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