Erik Jones. Perché uno come Trump potrebbe prendere il posto di Obama

Erik Jones è stato consigliere di Barack Obama durante la sua campagna elettorale. Cosa è cambiato in otto anni? Perché Donald Trump potrebbe prendere il suo posto? Ecco cosa ha risposto.

A cura di Camilla Soldati e Tommaso Perrone

Per avere un quadro – non completo – del personaggio, basterebbe citare il fatto che, da americano, è stato chiamato in qualità di esperto “europeo” dal presidente americano Barack Obama durante la campagna elettorale del 2008. Erik Jones ha il passaporto statunitense, ma da 25 anni vive in Europa. Dopo aver lavorato per l’università di Nottingham, nel Regno Unito, oggi è il direttore degli studi europei ed euroasiatici presso la sede bolognese dell’università John Hopkins. Il 17 marzo è stato a Milano, presso l’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), per discutere di primarie americane durante un incontro organizzato con la collaborazione del Consolato generale degli Stati Uniti. Questo è quanto ha raccontato a LifeGate per farci capire, in quanto europei, come seguire al meglio una delle corse alla Casa Bianca più bizzarre di sempre.

erik jones
Erik Jones all’Ispi di Milano, 17 marzo

Cosa significa il ritiro del candidato repubblicano Marco Rubio per Hillary Clinton? Il Partito democratico ora ha più chance di vittoria?

È una domanda interessante che presuppone che Marco Rubio rappresentava una minaccia per Hillary Clinton. Ma Rubio è forse l’unico candidato che Clinton potrebbe battere facilmente. Gli altri candidati sono più impegnativi per lei perché sono tutt’altro che convenzionali. Hillary Clinton invece fa parte della politica convenzionale. E credo le sarebbe piaciuto scontrarsi con un candidato dell’establishment repubblicano. Perciò ora Clinton dovrebbe essere più preoccupata.

E Bernie Sanders? Pensa che ormai sia fuori dai giochi?

Sanders è riuscito a cambiare il programma democratico sotto diversi aspetti. Quindi lascerà la corsa avendo raggiunto questo obiettivo. E avrà una grande visibilità alla convention estiva del partito.

Cosa si può dire che non sia stato già detto su Donald Trump? Perché dopo un presidente del calibro di Obama c’è la possibilità che venga eletto una persona come lui?

Non c’è niente che non sia stato detto su Donald Trump. Ci sono tre argomentazioni molto chiare che collegano Barack Obama a Donald Trump.

La prima è che il Partito democratico sembra aver perso molti consensi tra il ceto medio, per la maggioranza bianco. Questo gruppo è ormai sempre più spinto verso il basso, verso la classe operaia. Ha mostrato il proprio malcontento per la politica per molto tempo, soprattutto nel corso degli otto anni di presidenza Obama che coincidono con gli otto anni di crisi economica.

In secondo luogo, la maggioranza bianca non è più dominante e potrebbe presto diventare una minoranza per numero di nuovi nati. Forse è sbagliato dire minoranza perché rimarrà comunque una maggioranza per anni, ma non lo è più nelle dinamiche etniche. Questo è stato detto anche da Obama, ma benché molti dicono che lo abbia sempre sottolineato e ripetuto, in realtà — da presidente — è stato piuttosto restio ad affrontare questo discorso. Quindi se avessimo avuto un presidente (paradossalmente, ndr) più a favore degli afroamericani, oggi saremmo in una situazione totalmente diversa.

Il terzo aspetto riguarda il malcontento per l’élite. È un fenomeno universale, l’abbiamo visto anche in Europa. Ci sono molte cose che spiegano perché i cittadini vogliono qualcuno di totalmente diverso all’interno della scena politica: questo è Donald Trump.

Ttip. Ne parlano in pochi e sono ancora molti gli aspetti segreti di questo trattato tra Stati Uniti e Unione europea. Quali sono gli obiettivi reali e quali le tempistiche per una sua eventuale adozione?

Il vero obiettivo del Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti (Ttip) è creare una convergenza normativa in tutti gli Stati Uniti in modo da eliminare anche le barriere non tariffarie al commercio, ovvero le differenze normative che si traducono in maggiori spese per la cooperazione. Rendere le cose più semplici, questo è l’obiettivo. Non è un trattato che si firma come un tradizionale accordo sul commercio che elimina le barriere tariffarie: la convergenza normativa è un processo. Perciò solo una volta che l’accordo viene raggiunto, può iniziare il processo. Rimane comunque un progetto difficile da vendere, sia nell’Unione europea che negli Stati Uniti. Per questo non c’è una vera spinta per completare il trattato prima della fine del mandato di Obama, e non c’è nessuna indicazione per completarlo al Congresso. La prossima amministrazione, quindi, avrà una bella gatta da pelare.

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