
L’etichetta di un alimento deve riportare la data di scadenza o il termine minimo di conservazione. Ecco la differenza e come comportarsi davanti a un cibo scaduto.
Secondo uno studio danese, l’introduzione di etichette climatiche per gli alimenti potrebbe ridurre le emissioni di CO2. A volerle è già il 67 per cento degli europei.
Informazione è potere (green). Secondo un recente studio dell’Università di Copenhagen e dell’Università svedese di scienze agricole se fossimo tutti a conoscenza dell’impatto ambientale di ogni cibo che portiamo in tavola si ridurrebbero notevolmente le emissioni di CO2.
È la climate labeling, l’etichetta climatica, il nuovo strumento che, secondo i ricercatori, potrebbe rivoluzionare il settore alimentare, che ogni anno emette 13,7 miliardi di tonnellate di gas serra. In che modo? Responsabilizzando il consumatore che, leggendo nero su bianco l’entità dell’impatto ambientale di un alimento, potrebbe essere motivato a cambiare abitudini di acquisto. Prendiamo ad esempio la carne: per fare 1 kg di manzo, spiegano i ricercatori, si liberano 60 kg di anidride carbonica in atmosfera. Secondo la ricerca, alla luce di questa consapevolezza, le scelte di acquisto potrebbero facilmente orientarsi verso alimenti meno impattanti e aziende produttrici più virtuose. Insomma, l’introduzione dell’etichetta climatica sui cibi potrebbe essere una doccia “fredda” in grado di spingere il consumatore a cambiare i propri acquisti in un’ottica di decarbonizzazione.
Secondo gli esperimenti condotti dalla ricerca scandinava – e i cui risultati sono stati pubblicati su Food Policy nello scorso febbraio – una persona su tre preferisce non conoscere l’impatto climatico del cibo che mangia. “Ma abbiamo constatato che quando la persone sono informate sull’impatto climatico di un piatto”, dice il professor Jonas Nordström del Dipartimento di economia degli alimenti e delle risorse dell’Università di Copenhagen, “sono portate a cambiare prodotto scegliendone uno meno pesante sull’ambiente”. In pratica gli studiosi ritengono che rendere obbligatorie le etichette climatiche, come già lo sono i valori nutrizionali, non solo risveglierebbe le coscienze dei consumatori ma costringerebbe i produttori di alimenti altamente impattanti sull’ambiente a pubblicare dati che altrimenti non renderebbero noti.
È stato chiesto a 803 partecipanti di scegliere tra sei alternative di carne macinata e una miscela a base vegetale, ciascuna senza un’etichetta climatica. Ai partecipanti è stato poi domandato se volevano o meno conoscere le informazioni sul clima per i prodotti. Il 33 per cento dei partecipanti ha detto di no. A tutti loro è stato poi chiesto di fare nuove scelte con i prodotti etichettati con le informazioni relativamente alle emissioni di CO2. A questo punto il 13 per cento ha cambiato prodotto. Chi, invece, ha voluto da subito sapere quale fosse l’impatto climatico del tipo di carne, ha optato immediatamente per prodotti meno impattanti (circa il 32 per cento).
“La nostra ipotesi è che essere consapevoli dell’impatto climatico di un prodotto ha un costo psicologico per il consumatore”, spiega Nordström che aggiunge “se qualcuno che ama la carne rossa viene informato del suo impatto sul clima, questo può indurlo a sentirsi un ‘peccatore climatico’ e a modificare il suo comportamento d’acquisto”. L’etichetta climatica fornisce dati calcolati sulla base di ogni aspetto della filiera produttiva: dall’impatto dei fertilizzanti chimici di sintesi dell’attività agricola convenzionale e dei gas emessi negli allevamenti, al confezionamento, alla trasformazione alimentare, fino al trasporto. Un calcolo completo e reale che rappresenterebbe un potente strumento educativo, secondo gli studiosi.
A voler conoscere l’impronta ambientale dei cibi è già il 67 per cento degli europei. Secondo Carbon Trust, ong nata con l’obiettivo di accelerare la transizione verso un’economia sostenibile e a basse emissioni di carbonio, oltre due terzi dei consumatori in Europa sarebbero già a favore dell’introduzione dell’etichettatura carbonica, che potrebbe migliorare la loro esperienza di acquisto.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
L’etichetta di un alimento deve riportare la data di scadenza o il termine minimo di conservazione. Ecco la differenza e come comportarsi davanti a un cibo scaduto.
Secondo uno studio, le emissioni del settore alimentare basteranno, da sole, a superare l’obiettivo degli 1,5 gradi di aumento della temperatura media globale.
Anche a causa dell’aumento dei prezzi, sempre più persone si vedono negato l’accesso a una dieta sana. L’obesità aumenta, pure nei Paesi a basso reddito.
Per la transizione verso sistemi alimentari sostenibili occorre diminuire la produzione di proteine ad alto impatto: dai legumi agli insetti, ecco pro e contro delle alternative proteiche alla carne.
L’Efsa raccomanda di eliminare le gabbie e le mutilazioni per migliorare il benessere animale, ma per i produttori europei questo si rifletterebbe nell’aumento del costo della carne.
Per la Commissione europea, in alcune zone d’Italia l’inquinamento delle acque da nitrati non sta migliorando o si sta aggravando.
In tutto il mondo crescono superfici agricole coltivate a biologico e produttori, ma serve una spinta ai consumi verso la transizione agroalimentare.
Prima capitale in Europa a farlo, Edimburgo ha sottoscritto il Plant based treaty per promuovere diete vegetali in risposta alla crisi climatica.
Secondo una ricerca, seminare cereali diversi contemporaneamente sullo stesso terreno è una pratica antica da riscoprire per un’agricoltura più resiliente.