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Uno studio tedesco ha provato a rispondere al quesito. La carne da allevamenti convenzionali costerebbe il 146 per cento in più, mentre sul biologico la questione è più complessa.
Bene o male tutti conosciamo il prezzo di un chilo di carne, di un litro di latte, di un cespo di insalata. Alcuni studiosi si sono però chiesti quale sarebbe il costo dei prodotti alimentari se si dovesse tenere conto del loro impatto ambientale.
Lo studio, condotto da ricercatori di diverse università in Germania e pubblicato lo scorso dicembre sulla rivista Nature, ha calcolato il prezzo dei prodotti alimentari comprendendo i costi ambientali su acqua, aria e suolo derivanti, per esempio, dall’utilizzo di fertilizzanti e pesticidi e dalle emissioni di gas a effetto serra. Gli alimenti con il divario più alto tra il prezzo di mercato e il costo reale sono risultati essere i prodotti di origine animale (la carne proveniente da allevamenti convenzionali costerebbe il 146 per cento in più, una allevata con metodo biologico il 71 per cento in più), seguiti dai prodotti lattiero-caseari convenzionali con 91 per cento di supplemento sul prezzo, mentre l’impatto più basso sarebbe quello dei prodotti vegetali biologici che registrerebbero un aumento di prezzo del 6 per cento.
I ricercatori hanno confessato di attendersi un punteggio migliore per i prodotti di origini animale da allevamenti biologici che, invece, hanno presentato anch’essi alti livelli di emissioni (i valori erano simili per la carne di manzo e agnello in convenzionale e biologico, più alti per il pollo biologico rispetto al convenzionale, più bassi per il maiale biologico). La deduzione degli studiosi è che, nel metodo biologico, nonostante il bestiame venga nutrito con erba e senza richiedere l’uso di pesticidi, gli animali vengono fatti crescere più lentamente nel rispetto del loro ciclo di vita, quindi emettono più gas serra nel corso della loro esistenza, oltre a necessitare maggiori superfici per il pascolo.
In merito a questo aspetto abbiamo chiesto un commento alla presidente di Federbio, Mariagrazia Mammuccini. “Negli allevamenti biologici, gli animali vengono allevati con tecniche che rispettano il loro benessere fisiologico ed etologico: hanno accesso ogni giorno a pascoli e spazi aperti e la loro densità è limitata. L’agricoltura biologica si integra al ciclo della natura, nel pieno rispetto dell’ambiente e della salute degli animali”, premette Mammuccini . “Relativamente all’affermazione che gli allevamenti biologici richiedano maggiori superfici per il pascolo, ricordiamo che questo tipo di allevamento è idoneo anche per le aree meno vocate all’agricoltura intensiva, ad esempio l’Appennino italiano, che rischierebbero altrimenti di venire abbandonate come è successo con il modello di agricoltura industriale. Quest’ultimo, basandosi sulla massima produzione, ha favorito un’agricoltura intensiva in terreni più fertili rispetto a quella in zone collinari e montane che, al contrario, il metodo bio considera come risorsa e contribuisce a riequilibrare.
Secondo la presidente di Federbio, dunque, un’analisi globale non deve considerare solo le emissioni, ma anche i benefici ambientali e sociali dell’allevamento biologico nel recupero dei territori marginali, nella salvaguardia della biodiversità, senza dimenticare la possibilità di utilizzare il letame per arricchire la fertilità del suolo. “Negli allevamenti biologici, in un’ottica di economia circolare, le deiezioni vengono utilizzate per fertilizzare i campi riducendo così sensibilmente le emissioni rispetto agli allevamenti industriali”, sottolinea Mammucini.
Secondo le conclusioni dello studio tedesco, una maggiorazione dei prezzi degli alimenti che tenga conto dei loro costi ambientali sarebbe utile a orientare i consumatori in un’ottica green, ma una scelta di questo tipo dovrebbe essere supportata da misure di compensazione sociale e da sussidi governativi per garantire a tutti l’accesso al cibo sostenibile e per rendere anche più competitiva l’agricoltura biologica.
Per la presidente di Federbio, per cambiare l’agricoltura è fondamentale un cambiamento delle abitudini alimentari dei cittadini. Il modello proposto è così quello di una dieta “bio mediterranea”, cioè basata su produzioni biologiche, con un aumentato consumo di vegetali e un ridotto consumo di carne, con sostanziali benefici per la salute e per l’ambiente. “Numerose ricerche – conclude Mammucini – hanno dimostrato che, se accompagnata da una riduzione dell’utilizzo di prodotti di origine animale, dei mangimi concentrati negli allevamenti e dello spreco alimentare, la conversione al biologico dell’intera produzione agricola mondiale porterebbe alla creazione di un grande sistema sostenibile, con benefici enormi per l’ambiente, come il contenimento delle emissioni di gas serra e la riduzione dell’impiego di fertilizzanti e pesticidi. E sarebbe assicurata la sicurezza alimentare sostenibile su scala globale”.
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