Non era mai accaduto che la temperatura media globale in un intero anno solare fosse di oltre 1,5 gradi centigradi superiore ai livelli pre-industriali.
Federico Brocchieri. Senza negoziati sul clima le emissioni sarebbero fuori controllo
Federico Brocchieri, protagonista italiano delle conferenze sul clima, ci parla del suo libro che esce a cinque anni dalla firma dell’Accordo di Parigi.
A 29 anni Federico Brocchieri ha già vissuto le conferenze sul clima delle Nazioni Unite da due fronti diversi: come osservatore prima, dal 2011 al 2017, e poi come membro del gruppo tecnico negoziale dell’Italia e dell’Unione europea, per la quale è attualmente co-coordinatore del gruppo esperti sulle tematiche di trasparenza. Un importante bagaglio di esperienze racchiuse nel suo primo libro, I negoziati sul clima (Edizioni Ambiente). Lo intervistiamo in occasione dell’uscita del volume e alla vigilia del quinto anniversario dell’Accordo di Parigi che ha posto obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 in grado di condizionare le politiche dei paesi aderenti e le strategie delle imprese. Un’occasione per approfondire il percorso compiuto dal 2015 ad oggi e per prevedere cosa accadrà alla Cop 26 in programma a Glasgow dal primo al 12 novembre 2021, considerando anche le grandi novità a livello globale degli ultimi mesi: la nuova presidenza degli Stati Uniti e la finalizzazione della Brexit.
Dai primi appuntamenti degli anni 90’ alle ultime Cop, come si sono evoluti in 25 anni i negoziati sul clima, dal punto di vista tecnico-scientifico e da quello politico?
Il negoziato è cambiato molto in questi anni. Inizialmente, era impostato secondo una netta distinzione tra Paesi “sviluppati” e Paesi “in via di sviluppo”, in termini sia di impegni che di regole. Questo approccio, che ha contraddistinto anche il protocollo di Kyoto, è stato tuttavia messo in discussione negli anni, via via che il divario – in termini economici e di emissioni – si assottigliava, in particolare per l’ascesa delle grandi economie emergenti. Con l’accordo di Parigi, si è sancito il definitivo passaggio ad una piattaforma comune, con regole uniformi a tutti i Paesi affiancate da specifiche opzioni di flessibilità per quelli in via di sviluppo che ne hanno bisogno in virtù delle proprie capacità. Si tratta dunque di un quadro dinamico, volto a conseguire miglioramenti continui da parte di tutti.
La strada da percorrere è ancora lunga, ma senza dubbio dei passi in avanti sono stati fatti. Quanto hanno contribuito questi negoziati alla riduzione delle emissioni a livello globale?
I dati parlano chiaro: senza gli effetti degli impegni attuati dai Paesi nel corso degli anni passati, oggi le emissioni globali sarebbero ben più elevate. Al contempo, è innegabile come gli sforzi messi in campo non siano ancora sufficienti a raggiungere quelle soglie, indicate dalla scienza e riconosciute nell’accordo di Parigi, che garantirebbero di scongiurare gli effetti peggiori del cambiamento climatico.
Lei ha partecipato fin dal 2011 come delegato alle conferenze dell’Onu sul clima, prima come osservatore e a partire dal 2017 come membro del gruppo tecnico negoziale dell’Italia e dell’Unione Europea. Come ha vissuto questo cambio di prospettiva e quanto è stato importante vivere i negoziati da entrambi i fronti?
Credo di aver imparato moltissimo. Nei miei primi anni da “osservatore” ho potuto conoscere il funzionamento di questo processo, partecipando al contempo alla formulazione di proposte concrete da parte della società civile. Con il mio nuovo impegno, ho invece imparato a comprendere le inevitabili complessità di un negoziato chiamato a mettere d’accordo 197 Paesi su numerose questioni, molte delle quali particolarmente tecniche, da cui dipende in certa misura anche il futuro di ognuno di noi. Credo che avere avuto l’opportunità di partecipare alle conferenze da due diverse prospettive, abbia contribuito a consolidare in me la consapevolezza dell’entità e dell’urgenza della sfida che siamo chiamati ad affrontare.
Il 12 dicembre cade il quinto anniversario dell’accordo di Parigi. A che punto siamo, in Italia e nel resto del mondo, con gli impegni assunti in quella sede? È già troppo tardi per ridurre le emissioni di gas serra?
Non è troppo tardi, ma certamente la scienza ha indicato a più riprese come sia assolutamente necessario aumentare l’ambizione e agire in fretta. In questi anni, i lavori dei negoziati si sono concentrati sul rendere operative le disposizioni dell’accordo di Parigi: si potrebbero definire i “decreti attuativi” di quanto sancito alla Cop 21. In termini di riduzione delle emissioni, i contributi presentati dai Paesi per la prima volta nel 2015 (per il periodo 2020-2030) dovranno essere aggiornati per la prima volta in questi mesi, e ci sono buoni segnali che l’ambizione globale possa crescere. Non saranno probabilmente ancora sufficienti per allinearsi ad uno scenario che mantenga l’aumento di temperatura globale entro i due gradi alla fine del secolo, ma in questo processo ogni risultato si costruisce sul precedente.
Tra i suoi primi annunci, il presidente eletto Joe Biden ha comunicato di voler riportare gli Stati Uniti nell’accordo di Parigi. Che tipo di riflessioni potrà avere questa scelta, senza dimenticare anche la finalizzazione della Brexit, sulla prossima Cop 26? E quali risultati dobbiamo aspettarci dall’appuntamento in programma nel novembre del 2021 a Glasgow?
L’annuncio del presidente eletto Biden di voler riportare gli Stati Uniti all’interno dell’accordo è sicuramente positivo, ed oltre a gettare le basi per un rinnovato impegno degli Usa potrà potrà contribuire a creare un clima di fiducia all’interno del negoziato. Alla Cop 26, il Regno Unito per la prima volta negozierà come Paese indipendente all’Ue, con la coincidenza di avere anche l’ambizioso compito di presiedere la conferenza. Il ruolo del Regno Unito sarà dunque importante per garantire che a Glasgow si giunga a degli accordi ambiziosi sulle principali tematiche che occorre finalizzare per rendere pienamente operativo l’accordo di Parigi.
Ad anticipare di poche settimane la Cop 26 sarà l’evento milanese Youth4Climate: Driving Ambition. Che tipo di influenza potranno avere sui negoziati i movimenti giovanili di protesta?
Più che di protesta, credo che in questi ultimi anni i giovani abbiano dato prova di potersi trasformare in un’importante fonte di proposta. L’evento che sarà organizzato dall’Italia a margine della pre-Cop 26, in virtù del partenariato con il Regno Unito per la Cop 26, costituirà un’opportunità unica per i giovani di tutto il mondo per avanzare idee concrete.
Il suo libro punta ad accrescere la consapevolezza della questione climatica e della possibilità che l’umanità ha per risolverla. È più importante il ruolo dei singoli cittadini o quello dei governi?
Sono entrambi importantissimi. Nel libro ciò su cui cerco di porre l’enfasi è la necessità che tutti conoscano e comprendano questo processo, perché è solo con la spinta dell’opinione pubblica che i governi avranno la forza ed il sostegno necessario per prendere decisioni ambiziose. Al contempo, cerco di sottolineare come sia sbagliato attribuire l’intero onere della questione climatica ai comportamenti dei singoli individui; non solo perché è inesatto, ma anche poiché ciò distoglie l’attenzione dalle profonde trasformazioni che le economie di tutto il mondo sono chiamate a compiere, rispetto alle quali i singoli individui hanno spesso una capacità limitata di incidere.
Da questo punto di vista qual è in Italia il ruolo dei mezzi di informazione e che cosa i media possono fare di più?
Il ruolo dei media è fondamentale, ma spesso il settore non è riuscito a trattare adeguatamente una questione tanto complessa quanto importante. Negli anni, il dibattito sul tema climatico si è spesso svolto su basi non scientifiche, offrendo a figure prive di esperienza in materia la stessa visibilità e dignità d’opinione degli scienziati. È necessario compiere uno sforzo in più, riconoscendo come i cambiamenti climatici sia una questione scientifica, ma che debba essere resa fruibile anche ai non addetti ai lavori, spiegandone le complessità con un linguaggio semplice. È questo l’obiettivo che ho cercato di pormi scrivendo questo libro. Ma credo che ciascuno di noi, anche semplicemente sensibilizzando la propria cerchia di conoscenze, possa davvero fare la differenza.
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