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Bottiglie, vaschette, scatole, flaconi, tubetti. Una giornalista francese ha provato a rinunciare per una settimana alla plastica. Ecco com’è andata.
La plastica inquina gli oceani di tutto il mondo. Si degrada in microparticelle che vengono mangiate da pesci ed uccelli marini. E in questo modo entra nella catena alimentare, provocando rischi anche per la specie umana. Eppure, questo materiale controverso è onnipresente nelle nostre società. Soprattutto quelle dei paesi più ricchi del mondo. È possibile, dunque, oggi, riuscire a vivere senza plastica?
#Dangerplastique | #Jaitesté une semaine sans emballages plastiques… et j’ai maudit mon rédacteur en chef https://t.co/LOav1wjsM7
— Novethic (@Novethic) 21 febbraio 2019
A porsi la domanda è stata la redazione del quotidiano francese Novethic, una cui giornalista si è lanciata nella sfida: vivere una settimana senza acquistare alcun prodotto che sia fatto o confezionato, imballato e servito su tale materiale. Il che significa rinunciare a bastoncini cotonati, formaggi e insaccati imballati, sacchetti di pasta, shampoo e sapone liquido, buste dell’immondizia… “Quando il mio direttore mi ha proposto l’idea, mi sono detta che avevo già fatto parecchi passi avanti nella via della ‘plastica zero’. Ho perciò pensato che sarebbe stato relativamente semplice. Grave errore: sono stata presuntuosa!”, ha scritto la redattrice raccontando la propria esperienza.
Che è cominciata, il primo giorno, provando a prendere qualcosa da mangiare nella pausa pranzo. La giornalista si è recata in un ristorante indiano. E si è ritrovata “con le mani piene di scatolette di plastica”. Il secondo giorno, così, dopo aver provato in vari negozi si è vista costretta a ripiegare su un panino. Soltanto il terzo, dotata di una busta in tessuto, la reporter è riuscita a trovare un ristorante coreano che proponeva i propri piatti in scatole di cartone: “Mi sono detta: ‘Alleluia! Sarà la mia mensa’”.
La settimana scorre quindi tra contenitori vuoti e tentativi nei grandi supermercati: “Qui trovo insalata già lavata soltanto nelle buste di plastica, limoni confezionati, salsicce imballate. Per fortuna a casa ho una yogurtiera quindi posso saltare il banco del frigo”. La giornalista torna quindi a casa dopo la spesa, ma le sorprese non mancano: “Il contenitore delle patatine che credevo fosse in alluminio contiene invece della plastica. Stessa cosa per le confezioni di tè e latte. Difficile saperlo perché spesso la composizione degli imballaggi non è indicata”.
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In bagno la situazione è ancora peggiore: “Mi ritrovo in un oceano di confezioni di plastica. Per fortuna da alcuni mesi uso sapone e shampoo solidi, ma come fare col deodorante? Alla fine ne ho trovato uno ricaricabile in un negozio online di cosmetici responsabili. Ma inutile prendersi in giro: quello e un dentifricio mi sono costati 26 euro…”.
A diver finds a fish trapped in a plastic bag on the bottom of the ocean and sets it free ??? the fish is free to survive ??? another example of why #plasticpollution is so bad for the environment and sealife ?? pic.twitter.com/JsRf5UoZ6a
— ?☮️Mrs.Chelle.C?? (@MichLdogs) 26 febbraio 2019
Allo stesso modo, “per sostituire i cotton-fioc ho comprato un bastoncino in bambù in un negozio biologico. A 4,50 euro. Ma per quanto riguarda la crema per il viso non ho trovato alternative. E confesso che dopo due giorni ho ricominciato a spremere il tubetto, dimenticandomi dell’ambiente”. Discorso identico per la carta igienica: “Impossibile trovarne senza un imballaggio in plastica”.
La conclusione alla quale è giunta la reporter è perciò la seguente: “In generale, sul fronte alimentare sono i prodotti trasformati i più complicati: piatti pronti, creme spalmabili, insalate lavate”. Scegliendo alimenti al naturale, perciò, in qualche modo ce la si può cavare. “Ma al bagno è molto più difficile: ci sono molti prodotti dei quali non posso, o non voglio, davvero fare a meno”. Vivere senza plastica, insomma, è ancora un sogno.
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