Fusione nucleare: cos’è e a che punto siamo

La fusione nucleare è una reazione che sprigiona molta energia a basso impatto. Ma nella pratica la tecnologia del nucleare pulito è ancora immatura.

L’energia nucleare entra periodicamente nel discorso politico, come fonte di energia pulita e a basse emissioni. Al di là dei pro e contro di questa tecnologia, da un po’ di tempo si è inserita nel discorso pubblico il tema della fusione nucleare. La fusione nucleare viene presentata come il “nucleare pulito” in quanto, a differenza della fissione nucleare che caratterizza le centrali odierne, produrrebbe quantità pressoché illimitate di energia senza emissioni di gas nocivi o gas serra e con la produzione di limitate quantità di scorie radioattive fra cui il trizio. Particolare entusiasmo ha generato l’esperimento andato a buon fine a inizio 2022, portato avanti da un team di ricerca europeo in Inghilterra, il Joint european torus (Jet) di Oxford, e in cui è stato sperimentato un impulso di energia da fusione nucleare durato almeno cinque secondi, il doppio rispetto all’esperimento precedente avvenuto nel 1997. Questi tempi appena descritti fanno capire quanto la ricerca sia ancora indietro nello sviluppo della tecnologia della fusione nucleare. Secondo una vecchia battuta, il nucleare a fusione è quella cosa che da cinquant’anni si ritiene arrivi entro trent’anni. È vero che la fusione nucleare controllata potrebbe – in linea teorica – risolvere i problemi di approvvigionamento energetico sulla Terra, ma si tratta di una tecnologia agli albori della sua evoluzione, e che quindi da sola non è in grado di risolvere i problemi dettati dall’urgenza climatica.

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Reattore al plasma in fase di sperimentazione ad Abingdon, Regno Unito © Leon Neal/Getty Images

Che cos’è la fusione nucleare

La fusione nucleare, per definizione, è una reazione nucleare nella quale i nuclei di due o più atomi si uniscono tra loro formando il nucleo di un nuovo elemento chimico, più o meno l’opposto della fissione nucleare, reazione alla base delle odierne centrali nucleari, dove un atomo pesante si scinde in due o più pezzi di massa inferiore. Perché la fusione sia possibile è necessaria una grande quantità di energia, in grado di vincere la repulsione elettromagnetica dei nuclei.

Questo processo è alla base delle stelle, tra cui il sole, e per la prima volta è stata riprodotta artificialmente negli anni cinquanta per amplificare la potenza della bomba atomica (la cosiddetta bomba H). Dagli anni sessanta sono stati eseguiti numerosi esperimenti per sfruttare l’energia prodotta dalla fusione nucleare ma progetti di questo tipo sono ancora in fase di realizzazione.

Come funziona la fusione nucleare

Come detto, la fusione nucleare è la reazione chimico-fisica alla base delle stelle in cui il gas caldo, il plasma, è tenuto confinato e coeso della loro stessa forza di gravità. Si tratta di reazioni a temperature altissime, quindi il problema principale è trovare un materiale in grado di tenere confinato il plasma che si viene a generare durante la reazione. Le reazioni più interessanti sperimentate finora sono quelle che vedono l’impiego di deuterio oppure che sfruttano il ciclo carbonio-azoto-ossigeno. Sono reazioni che producono temperature più basse di quelle generate dalle stelle e pertanto non ancora sfruttabili a fini energetici.

La reazione da decenni più studiata, per utilizzare la fusione in un reattore di una centrale per produrre energia elettrica, è la fusione deuterio-trizio, perché è quella che richiede la temperatura più bassa (circa 200 milioni di gradi). Lo svantaggio di questa reazione è la produzione di neutroni a energia molto alta, quindi molto veloci che non possono essere confinati da un campo magnetico. I neutroni, quindi, interagiscono pesantemente con la materia intorno, rendendo radioattivi i materiali usati per confinare la reazione, quali acciaio o cemento armato. Pertanto, l’attivazione di questi neutroni richiede schermature molto pesanti (ad esempio in piombo).

Alcuni esperimenti si sono concentrati sulle reazioni “aneutroniche”, per evitare la creazione di neutroni veloci. Ma questi progetti devono fare i conti con temperature ancora più alte: la reazione elio 3-deuterio, per esempio, può produrre 580 milioni di gradi. Rispetto alla fusione deuterio-trizio sarebbe necessario aumentare di 6 volte l’intensità del campo magnetico, e quindi della capacità di confinamento, che potrebbe essere offerto dalla tecnologia dei superconduttori ad alta temperatura.

All’interno delle stelle, la fusione nucleare è del tipo deuterio-deuterio che produce neutroni con un’energia nettamente più bassa dei due esempi precedenti, ma temperature ancora più elevate. Per contenere tale energia, però, sono necessari nuovi magneti basati su superconduttori ad alta temperatura ancora più avanzati, che però non sono ancora tecnologicamente raggiungibili, se non prima di qualche decina di anni.

Nonostante si stia parlando di altissime temperature, non sono stati teorizzati particolari problemi di sicurezza e, secondo diversi esperti, nel caso ci fossero sarebbero meno pericolosi rispetto a quanto potrebbe succedere in un sistema a fissione nucleare le cui reazioni a catena amplificano l’energia e quindi il calore prodotto.

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Esperimento in corso sulla fusione nucleare a Abingdon, Regno Unito © Leon Neal/Getty Images

Storia della fusione nucleare, il nucleare pulito

Il primo esperimento è datato 1932 quando Mark Oliphant realizzò una fusione in laboratorio con isotopi pesanti dell’idrogeno. Le ricerche sulla fusione per scopi militari cominciarono all’inizio degli anni quaranta come parte del Progetto Manhattan (programma di ricerca e sviluppo condotto dagli Stati Uniti che portò alla realizzazione di bombe atomiche) e nel 1952 fu impiegata la prima bomba H (in gergo Ivy Mike e fatta esplodere nelle isole Marshall, in un atollo che ancora oggi ospita una cupola di cemento con sotto le scorie radioattive dei test nucleari).

Negli ultimi sessant’anni è stato profuso un notevole sforzo teorico e sperimentale anche per mettere a punto la fusione nucleare per scopi civili anziché bellici ovvero per generare elettricità. A oggi il reattore a fusione nucleare allo stadio più avanzato è rappresentato da Iter (International thermonuclear experimental reactor), reattore di forma toroidale (a ciambella) in cui un plasma (solitamente di idrogeno) ad altissima temperatura e a bassa pressione viene mantenuto coeso e lontano dalle pareti interne grazie a un campo magnetico generato da elettromagneti esterni alla camera.

Il progetto Iter coinvolge 35 nazioni (tra le quali figurano gli stati membri dell’Unione europea, gli Stati uniti, l’India, il Giappone, la Corea del sud e la Russia) con l’obiettivo di costruire il primo reattore sperimentale di questo tipo a Cadarache, nel sud della Francia. L’Italia partecipa a Iter con un sito di sperimentazione a Frascati.

Oltre Iter, ci sono altri due progetti sperimentali, Sparc (di cui Eni è il maggior azionista) e Arc. Il primo reattore dimostrativo, il progetto Demo, se tutto procede secondo i piani e in forte discontinuità rispetto ai ritardi del passato, potrebbe essere pronto non prima del 2050. Demo è infatti un prototipo di reattore per una centrale a fusione nucleare studiato dal consorzio europeo Eurofusion come ideale successore del reattore sperimentale Iter.

Perché la fusione nucleare non funziona ancora

Il problema principale dagli anni ’60 ad ora, e probabilmente anche per il prossimo futuro, è rappresentato dalla difficoltà di raggiungere un bilancio energetico positivo del reattore. Ad oggi, infatti, non si è ancora riusciti a costruire un reattore che produca normalmente durante il suo funzionamento in continuo più energia elettrica di quanta ne consumi per alimentare i magneti e i sistemi ausiliari di contenimento.

Un problema non secondario riguarda i costi: Iter, il progetto più avanzato sulla fusione nucleare, prevedeva inizialmente un costo di 13 miliardi di euro ma c’è chi sostiene che possa arrivare facilmente a 30 miliardi, senza contare la necessità di impiegare un’enorme quantità di energia per poter proseguire con gli esperimenti.

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Una centrale nucleare in attività a Essenbach, Germania © Alexandra Beier/Getty Images

E allora la fusione fredda?

Il 23 marzo 1989, all’università dello Utah, i due elettrochimici Martin Fleischmann e Stanley Pons dichiararono in una conferenza stampa di aver ottenuto la fusione nucleare non in un plasma caldissimo mantenuto a pressioni estreme all’interno di enormi e complessi reattori, ma “in provetta”, a temperatura ambiente. I due scienziati inaugurarono la stagione della “fusione fredda”, che prometteva di rivoluzionare il mondo dell’energia. Come sappiamo, la rivoluzione non arrivò. Perché?

In primo luogo, una battaglia per ottenere il brevetto prima di altri, portò la ricerca a non essere mai studiata fino in fondo in modo che potesse essere replicata. La fretta con cui si giunse alla pubblicazione dei risultati da parte di Fleschmann e Pons non permise di risolvere diverse anomalie comparse in fase progettuale. Per questo, la fusione fredda non fu mai comprovata dalla comunità scientifica né si arrivò mai a un prototipo commerciale.

In conclusione, la fusione nucleare è una tecnologia sicuramente molto affascinante e dalle ricche potenzialità. Ma i problemi lungo il suo cammino evolutivo sono ancora molti e data l’urgenza climatica in corso, i suoi tempi di sviluppo sono ancora troppo lenti e costosi per poter rappresentare una valida soluzione per il settore energetico.

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