L’uso dei sottoprodotti dell’agricoltura nei mangimi animali può permettere un risparmio ecologico e una via diversa per l’ecosostenibilità ambientale.
Gli esperti della conservazione in Asia per raggiungere il “bracconaggio zero”
È terminato in Nepal il simposio “Verso il bracconaggio zero in Asia” incentrato sulle iniziative per contrastare il bracconaggio nel continente.
Estirpare il dilagante bracconaggio che attanaglia il continente asiatico e che sta mettendo a serio rischio la sopravvivenza delle sue specie simbolo come la tigre (Panthera tigris), il rinoceronte (Rhinoceros unicornis) e l’elefante (Elephas maximus).
Per questo motivo si sono riuniti a Kathmandu, in Nepal, gli esperti della fauna selvatica in rappresentanza di 13 paesi dell’Asia, tra cui Bhutan, Bangladesh, India, Myanmar, Nepal, Russia e Vietnam, e le autorità in materia di bracconaggio da tutto il mondo, in occasione del simposio “Verso il bracconaggio zero in Asia”.
L’incontro, iniziato il 2 febbraio e conclusosi il 6, è stato organizzato dal governo nepalese con la collaborazione del Wwf Nepal con l’obiettivo di ampliare la collaborazione tra paesi e condividere le migliori pratiche e tecnologie anti-bracconaggio.
Il convegno si è svolto in Nepal perché il Paese ha raggiunto lo straordinario risultato che si è prefisso l’Asia: il bracconaggio zero, nel 2014 infatti nel piccolo paese himalayano non sono stati uccisi rinoceronti, tigri o elefanti.
“Il Nepal ha raggiunto risultati eccezionali nella creazione di un modello di “bracconaggio zero” che può essere ampliato all’Asia intera e ad altre parti del mondo”, ha dichiarato Sharad Chandra Paudel, ministro delle Foreste e della Conservazione del suolo del Nepal inaugurando il simposio.
Il ministro ha inoltre invitato le parti interessate, gli esperti e le comunità locali a concentrare gli sforzi per porre fine ai crimini contro la fauna selvatica, come la caccia di frodo e il commercio illegale di animali, anche attraverso campagne anti-bracconaggio.
Il Nepal deve il suo successo anche al ricorso alle comunità locali, coinvolte nella gestione, nella conservazione e nell’utilizzo delle risorse forestali. Inoltre il 50 per cento dei ricavi generati dai parchi nazionali viene investito per le attività di sviluppo delle comunità, come la creazione di scuole e infrastrutture, aiutando indirettamente la conservazione della fauna selvatica.
Dal convegno è emerso che i principali fattori alla base dell’aumento dei reati ai danni della biodiversità sono povertà, avidità, disoccupazione, corruzione, mancanza di consapevolezza, instabilità politica e scarsa applicazione delle leggi.
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