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Scoperto dallo chef stellato Ángel León, il grano marino è fonte di proteine, ricco di omega 6 e 9 e cresce in modo del tutto naturale, creando biodiversità intorno a sé.
Portare il grano marino sulle nostre tavole potrebbe essere una vera rivoluzione per l’alimentazione e per proteggere il pianeta. A scoprire le potenzialità gastronomiche dei semi che si trovano nei prati di fanerogame marine è stato lo chef spagnolo Ángel León, noto per la sua cucina con la bioluminescenza ed esperto di cibo di mare innovativo. Dalle forme che ricordano dei piccoli granelli, questi semi contengono il 50 per cento di proteine in più rispetto al riso e la pianta che li produce, affermano gli scienziati, è in grado di assorbire anidride carbonica 35 volte più rapidamente della foresta pluviale amazzonica.
Al Guardian, il quotidiano inglese, León ha raccontato di aver notato nella baia di Cadice, nel Sud della Spagna, dove vive, dei piccoli granelli verdi aggrappati alla base della zostera marina, ovvero i verdi prati di fanerogame. Grazie al suo istinto culinario, lo chef andaluso insignito delle tre stelle Michelin, ha fatto analizzare questi misteriosi granelli arrivando a risultati sorprendenti: si tratta di alimenti commestibili e senza glutine, ricchi di omega 6 e 9, che contengono il 50 per cento di proteine in più rispetto al riso. Come se non bastasse, hanno il pregio di crescere senza acqua dolce e senza fertilizzanti.
Dopo questa scoperta León ha deciso di intraprendere una sua “missione”: trasformare della comune zostera marina in un potenziale superfood sostenibile. La sua idea è di guardare al mare in un modo innovativo, come se fosse un giardino: “In un pianeta costituito per tre quarti di acqua, potrebbe trasformare radicalmente il modo in cui vediamo gli oceani”, ha detto León. Lo “chef del mare”, come è noto in Spagna, da oltre dodici anni fa scoprire nel suo ristorante di Cadice, l’Aponiente, piatti inediti e sorprendenti realizzati con ingredienti di scarto e frutti di mare particolari. Uno sforzo creativo e di ricerca premiato con tre stelle Michelin per far conoscere la sua “cucina dai mari sconosciuti”.
Un impegno “gastronomico” ma anche ambientalista quello di León che insieme all’Università di Cadice e a un team di ricercatori del governo regionale ha avviato il giardino marino, un progetto pilota per preservare la preziosa pianta oggi sempre più minacciata dall’attività umana lungo le coste e dall’aumento della temperatura dell’acqua. Dopo circa 18 mesi il giardino sperimentale di un terzo di ettaro ha già dato i suoi frutti: le piante hanno prodotto i loro primi semi, aprendo quindi la strada alla coltura completamente naturale su aree più vaste.
In Europa la zostera marina di solito viene utilizzata come materiale isolante per le case o come rivestimento non commestibile di certi cibi, ma non è la prima volta che l’uomo la utilizza come cibo. Durante le sue ricerche, León ha infatti trovato un articolo della rivista Science del 1973 nel quale emerge che il grano del mare era già una fonte di cibo alla base dell’alimentazione dei Seri, una popolazione indigena stabilita in Messico. Simile al riso integrale come sapore, il grano marino è ora diventato un ingrediente protagonista dei piatti dello chef andaluso. Con questa sorta di cereale di mare lo chef prepara pane, pasta e rivisita alcuni piatti classici della cucina spagnola.
Oltre al suo apporto nella gastronomia, il grano di mare sembra anche avere un ruolo fondamentale nell’ecosistema marino. Grazie al giardino creato dallo chef, una palude abbandonata si è presto trasformata in un habitat pieno di vita, dai cavallucci marini alle capesante.
L’esperimento dello chef spagnolo ha cominciato a fare il giro del mondo, suscitando la curiosità degli scienziati. “La prima volta che ne ho sentito parlare ho pensato che fosse davvero molto interessante”, ha dichiarato Robert Orth, professore dell’Istituto di scienza marina in Virginia, che da 60 anni studia le fanerogame. Inoltre, sembra che il grano marino abbia un importante potenziale come coltivazione a basso costo e sostenibile dato che i raccolti medi potenziali del primo orto marino del mondo potrebbero essere di circa 3,5 tonnellate per ettaro, un terzo di più rispetto a quello che si potrebbe ottenere con il classico riso. “3.500 kg senza fare nulla e, soprattutto, senza antibiotici e fertilizzanti, ma solo acqua di mare e movimento”, ha precisato lo chef.
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