Aveva ragione Greta Thunberg: il crollo della diga di Kakhovka è ecocidio

Secondo il New York Times la diga di Kakhovka è stata fatta esplodere dalla Russia: un vero e proprio ecocidio come lo aveva definito Greta Thunberg.

  • La diga è crollata per una esplosione secondo esperti e documenti consultati dal New York Times.
  • Le conseguenze sono gravissime: morti, sfollati, contaminazioni, insicurezza alimentare.
  • Praticamente un ecocidio, come lo ha definito Greta Thunberg.

È stata la Russia a far collassare la diga di Kakhovka, nella regione di Kherson, in quello che sarebbe stato un vero e proprio ecocidio, piazzando una grande quantità di esplosivo all’interno della galleria di manutenzione dell’impianto, l’unico punto che avrebbe potuto provocare il cedimento delle fondamenta in cemento. È l’ipotesi rilanciata dal quotidianoNew York Times, sulla base di una inchiesta realizzata ascoltando esperti statunitensi e ucraini e confrontando piani ingegneristici della diga e rilievi fotografici relativi a prima e dopo l’incidente. Che quindi incidente non sarebbe.

È stata la Russia a commettere il reato di ecocidio

Avrebbe avuto ragione Greta Thunberg, dunque, quando a pochi giorni dopo il crollo della diga aveva accusato la Russia di ecocidio, ovvero di un crimine contro la Terra: su Twitter, infatti, la giovane attivista ambientale svedese aveva affermato che “questo ecocidio è la continuazione dell’invasione ingiustificata della Russia in Ucraina e l’ennesima atrocità che lascia il mondo senza parole: la Russia deve essere ritenuta responsabile dei suoi crimini”.

Secondo il New York Times, è vero che la diga è stata visibilmente segnata dai combattimenti nei mesi precedenti il crollo, come sostengono i russi: gli attacchi ucraini avevano danneggiato una parte del muro e le truppe russe in ritirata ne hanno poi successivamente fatto esplodere un’altra, al punto che il mese scorso, le immagini satellitari hanno mostrato che l’acqua scorreva incontrollata in alcuni punti. Ma questo non sarebbe che un alibi dietro il quale la Russia ha potuto nascondere finora le proprie responsabilità.

Dati i rilevamenti satellitari e sismici delle esplosioni nell’area, secondo gli esperti consultati dal quotidiano statunitense è molto improbabile che il catastrofico cedimento delle fondamenta in cemento sottostanti alla diga si sia verificato da solo, e anzi: la causa di gran lunga più probabile del crollo sarebbe stata una carica esplosiva collocata nella galleria di manutenzione che attraversa il cuore di cemento della struttura. Più precisamente, ha spiegato Michael W. West, ingegnere geotecnico ed esperto in sicurezza delle dighe e analisi dei guasti, “solamente una grande esplosione può aver distrutto la diga, e la galleria è il luogo ideale per mettere quella carica esplosiva”.

Una carica esplosiva registrata a partire dalle fondamenta

Gli ingegneri ascoltati dal New York Times hanno avvertito che solo un esame completo della diga, che sarà possibile quando tutta l’acqua sarà stata scaricata dal bacino, potrà determinare la sequenza precisa degli eventi che hanno portato alla distruzione. Ma già da ora è “altamente improbabile” che il disastro sia avvenuto per un errore di progettazione o per l’utilizzo di cemento scadente, insomma per cause endogene alla diga stessa. Ihor Strelets, un ingegnere che è stato vice capo delle risorse idriche per il fiume Dnipro dal 2005 al 2018, al Nyt ha infatti assicurato che, essendo state progettate negli anni della Guerra Fredda, negli anni 50, le fondamenta della diga erano pensate per resistere a quasi ogni tipo di attacco esterno: “Ho visionato più volte la galleria, e una esplosione è l’unica spiegazione per quello che è successo”.  “Non pretendo che la mia teoria sia corretta”, ha detto il signor Strelets,”ma questa è l’unica spiegazione”.

A supportare la tesi dell’esplosione c’è il fatto che proprio nella notte del 6 giugno due eventi sismici sono stati rilevati da un satellite alle 2:35 e alle 2:54, ora ucraina, proprio sotto la diga di Kakhovka: eventi compatibili con l’ipotesi di una carica esplosiva fatta detonare sotto terra.

Un ecocidio strategico dal punto di vista militare

Nel momento dell’esplosione, lo scontro militare si concentrava proprio nella regione di Kherson, con il fiume Dnipro a fare da spartiacque: da una parte l’esercito russo, dall’altro quello ucraino impegnato nel massimo sforzo delle propria controffensiva, volta a recuperare cittadine e territori finite nelle mani dell’invasore nei mesi precedenti. Anche per questo l’esplosione della diga era stata subito interpretata come una azione strategica di guerra, forse il tentativo di impedire alle forze ucraine di attraversare il Dnipro e continuare la propria avanzata.

Anziani evacuati dalla regione di Kherson © Anadolu via Getty Images

Il crollo della diga in effetti ha causato danni al momento anche solo difficilmente immaginabili, tali da giustificare il termine di ecocidio usato dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky, ma anche da Greta Thunberg, se provocato volontariamente. Il numero delle vittime accertate è salito al momento a 45, di cui 16 nella zona controllata dall’Ucraina e 29 in quella controllata dalla Russia, ma gli ucraini contano ancora 31 dispersi, verosimilmente ormai deceduti dopo quasi due settimane di ricerche. Gli sfollati che hanno perso le proprie case per via delle inondazioni sono circa 7mila, alcuni villaggi sono ancora completamente allagati e a ciò si aggiungono i gravi rischi causati da una possibile epidemia di colera e dal fatto che l’acqua ha trascinato via decine di migliaia di mine antiuomo piazzate dalla Russia lungo il letto del Dnipro, e che ora potrebbero essere finite ovunque nell’arco della regione di Kherson. Senza contare che, secondo le Nazioni Unite, l’allagamento dei campi potrebbe privare di cibo fino a 700mila persone, in Ucraina e nel resto del mondo (soprattutto nei paesi africani che sono grandi importatori di grano ucraino).

Danni enormi: non a caso, secondo il diritto internazionale, quello che si è verificato a Kakhovka si configura come crimine di guerra. L’articolo 56 del Protocollo addizionale alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, riguardante la protezione delle opere e degli impianti contenenti di sostanze o elementi pericolosi, precisa che dighe, argini, centrali nucleari, centrali elettriche non possono essere attaccati, anche se costituiscono obiettivi militari, quando tali attacchi possono causare il rilascio di queste forze e, di conseguenza, causare gravi perdite nella popolazione civile.

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