
Il delta del Po è una delle aree italiane che più sta subendo gli effetti dei cambiamenti climatici. Lo raccontano le donne coltivatrici che lì lavorano.
Ora che ci siamo trovati a fronteggiare l’emergenza coronavirus, troveremo il modo di affrontare anche quella climatica? L’editoriale di Duegradi.
La pandemia di Covid-19 ha portato l’attenzione di mezzo mondo (fermo) su complesse questioni epidemiologiche. Molti italiani sono diventati incredibilmente abili nell’affrontare e gestire, potenzialmente, un’emergenza sanitaria. Ma in questo nuovo assembramento d’esperti epidemiologi, un dubbio ci assale: tale ondata di interesse verso nuove tematiche come quella sanitaria, sarà un fenomeno in grado di sensibilizzare la popolazione ad altri temi emergenziali, quali la crisi climatica? Ma soprattutto, può fare in modo che la scienza venga considerata (così come avvenuto con il coronavirus) come chiave di volta nella gestione di questioni che la riguardano, venendo dunque in aiuto alla cosa pubblica e privata?
Anche a uno sguardo distratto, ci si accorgerebbe che la risposta mondiale alla Covid-19 ci ha improvvisamente portati ad “agire con la forza necessaria”, come afferma Greta Thunberg. Saremo in grado, nei prossimi mesi, di fare lo stesso con le tematiche ambientali? Questione aperta.
Secondo Ursula von der Leyen, la ripartenza dell’Unione europea post-Covid garantirà la transizione verso “un’Unione neutra – cioè a zero emissioni nette di gas serra –, digitale e sociale”, mantenendo così fede agli obiettivi dichiarati dal green deal europeo.
È ancora presto dunque per prevedere che forma prenderà la nostra società futura: non dimentichiamo che, con il mondo fermo per mesi, nel 2020 la diminuzione di emissioni sarà circa dell’8 per cento; quindi semplicemente in linea con i valori a cui dovremmo aspirare da qui al 2030 per contenere l’aumento delle temperature a 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali.
Guardando ai pacchetti di stimolo internazionali, non c’è tuttavia da essere così soddisfatti. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia, non vi è stata, tra le altre cose, un’enfasi sufficiente nella transizione energetica. Non possiamo permetterci un errore comparabile a quello fatto dopo la crisi del 2008, ossia una ripresa che non prenda in considerazione la decarbonizzazione dell’energia e gli obiettivi ambientali. La prossima manciata di mesi definirà il nostro futuro e il modo in cui il mondo affronterà la crisi climatica. Siamo pronti?
Diversamente da noi, la crisi climatica non si è mai fermata ed è intrinsecamente legata alle nostre vite. Lo scorso maggio è stato il mese più caldo mai registrato, con temperature di dieci gradi sopra la media in Siberia. A fine giugno, le temperature nella stessa zona hanno toccato i 38 gradi centigradi, e milioni di ettari di tundra siberiana sono ora in fiamme.
Quando cominceremo a prendere sul serio questi avvenimenti? Non dovrebbero ricordarci alcuni focolai del virus inizialmente sottovalutati? È necessario considerare tali elevati rischi ambientali come meritano e a vari livelli della nostra società, dal pubblico al privato. Per non esacerbare i loro effetti catastrofici negli anni a venire, noi tutti dobbiamo rendere ambiziosi (e mettere in atto per davvero) i testi dei green deal mondiali. La scienza è pronta – da anni – ad affrontare la crisi climatica; lo è la cosa pubblica nel togliere la testa dalla sabbia che ormai scotta?
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