Gli incendi boschivi colpiscono il Piemonte anche in inverno. L’ultimo si è verificato lunedì 7 febbraio a Cafasse, in provincia di Torino.
Squadre composte da decine di volontari hanno permesso di gestire tempestivamente la situazione.
La siccità e il forte vento hanno però contribuito a propagare le fiamme. Si teme che la crisi climatica possa aggravare questa situazione in futuro.
L’Italia ha la necessità di migliorare la gestione delle proprie aree boschive oltre a creare un piano di previsione delle emergenze efficace.
“Quello che ha fatto la differenza stanotte è stata la capacità di squadre di volontari di diversi paesi che si sono mobilitati. Se non ci fossero stati loro, il risultato sarebbe stato diverso”. Non ha dubbi Marco Bussone, presidente nazionale Uncem (Unione dei comuni, delle comunità e degli enti montani) quando lo contattiamo per parlare delle conseguenze degli incendi boschivi che nella notte di lunedì hanno colpito la zona di Cafasse, in provincia di Torino, in Piemonte.
Proprio oggi ho incontrato @gvacchiano per parlare di incendi invernali. E sempre oggi arrivano queste immagini da Cafasse, in provincia di Torino. Un incendio invernale causato dalla siccità nel nordovest d’Italia e alimentato da venti forti. C’è di che preoccuparsi. pic.twitter.com/QGH3309Qpc
Il 16 gennaio, la regione Piemonte ha dichiarato lo stato di massima pericolosità per incendi boschivi su tutto il suo territorio: complici la grave siccità e il forte vento, l’area è particolarmente a rischio. E infatti negli ultimi giorni ci sono stati una serie di focolai in tutta la zona alpina. La lingua di fuoco di Cafasse è partita nel primo pomeriggio del lunedì 7 febbraio e ha interessato un’area che già negli ultimi anni è stata oggetto di diversi incendi boschivi. “Gli incendi in queste zone si verificano sempre nelle valli. E Cafasse è proprio nel fondovalle”, spiega Bussone. “È un’area in cui ci sono poche pinete, alcune faggete e betulle, oltre a una radura abbastanza ampia e piccoli arbusti”, prosegue.
Si ipotizza che le fiamme siano di origine dolosa, ma il forte vento – che ha toccato anche i 100-120 km/h – unito all’enorme siccità ha contribuito a diffonderle.
La crisi climatica porterà a un aumento degli incendi boschivi non solo in Piemonte
“La riduzione delle precipitazioni, unita alla mancanza di risorse idriche, rappresenta un fattore scatenante per gli incendi”, spiega Bussone. “Il dolo fa sempre la sua parte, ma la crisi climatica non potrà che portare a un aumento di queste situazioni, così come a un aumento dei danni causati dal forte vento”. Danni che, tra l’altro, non si sono visti solo nel torinese, ma che hanno colpito anche la città di Milano dove sono stati registrati diversi disagi a causa delle forti raffiche.
La siccità, poi, sta mettendo a dura prova tutto il nord Italia dove ormai non piove da mesi. In Lombardia, l’area colpita da incendi all’inizio di quest’anno ha superato di tre volte quella registrata nello stesso periodo dell’anno scorso; mentre in Liguria, un incendio nell’entroterra di Genova ha colpito una zona dove erano appena stati piantati degli alberi. “Il 2022 si apre all’insegna degli incendi boschivi”, precisa Giorgio Vacchiano, ricercatore in gestione e pianificazione forestale presso l’Università Statale di Milano. “E anche per quest’anno, l’andamento della siccità e gli effetti della crisi climatica ci fanno temere che sempre più superfici forestali saranno interessate dalle fiamme, anche nel nostro paese”.
Torino deve iniziare a preoccuparsi delle conseguenze degli incendi boschivi
Perdere i boschi a causa degli incendi non rappresenta solo un pericolo per chi abita nelle zone interessate, ma anche per chi beneficia, indirettamente, della loro presenza. “Queste valli sono le prime vicino a Torino: garantiscono l’ossigeno alla città, garantiscono un servizio ecosistemico, ambientale e climatico. È quello che ribadisco: deve esserci un riconoscimento e valorizzazione dei servizi ecosistemici che il bosco, il presidio antropico, la cura dei prati e del paesaggio garantiscono a tutti, compreso chi vive a Torino”, spiega Bussone.
“L’Italia si riscalda a un ritmo doppio rispetto alla media globale. Le estati calde, la mancanza d’acqua, l’allungamento della stagione di crescita delle piante, fanno si che le fiamme possano diffondersi sempre di più sul nostro territorio”, gli fa eco Vacchiano.
Tuttavia, c’è ancora una certa difficoltà a livello locale nel riconoscere la gravità della crisi climatica, da sindaci che sono ancora disposti a investire adeguatamente sulla prevenzione, a regioni che non mappano nemmeno le superfici percorse dal fuoco, denuncia Bussone.
L’Italia ha difficoltà a gestire i suoi boschi
In seguito agli incendi che quest’estate hanno colpito la Sardegna, la squadra dell’Ucem ha redatto un dossier con alcune considerazioni e proposte per migliorare la situazione. Oltre a prendere più seriamente la crisi climatica, gli esperti consigliano di pianificare meglio proprio la gestione forestale del paese, che rimane particolarmente precaria. “Il bosco, ad esempio, è lasciato all’incuria, soprattutto nelle proprietà private che non vengono regolarmente gestite. Questo espone decine di volte in più del normale il bosco a dei roghi”, ci spiega Bussone.
In più, “Non abbiamo nessuna forma di prevenzione e pre-gestione delle emergenze, che si traduce in tecnologia, sensoristica, monitoraggio ambientale. Siamo rimasti all’osservazione”, continua, sottolineando come anche nel caso di lunedì 7, l’allarme sia stato lanciato solo dopo le telefonate al 112. “Non abbiamo un sistema di monitoraggio, telecamere, o sensori nei boschi. Non è mai stato fatto un investimento in questo senso”.
“Dovremmo investire in un sistema di prevenzione locale, sul territorio”, prosegue su questa linea Vacchiano. “Rendere il bosco meno infiammabile è possibile e soprattutto è necessario nelle zone più vicine alle infrastrutture vulnerabili. La gestione forestale sostenibile ci permette di rendere il bosco più impermeabile alle fiamme. Sarebbe un investimento per la salute non soltanto dei nostri territori, ma della nostra società”, conclude.
I volontari si sono subito attivati contro gli incendi boschivi in Piemonte
A questo si aggiunge il fatto che, dopo lo scioglimento del Corpo forestale, alcune competenze sono state ridistribuite su altri organi e questo ha portato, in alcuni casi, a delle catene di comando non chiare che hanno causato ulteriori difficoltà nella gestione delle emergenze. Senza considerare che, molto spesso, le squadre che combattono gli incendi in prima linea sono formate da volontari, che devono sopperire a una mancanza di gestione a livello statale.
Ed è esattamente quello che è successo a Cafasse. “Lo abbiamo visto in Sardegna come anche qui. In Piemonte c’è uno dei corpi più evoluti, ma di fatto è composto da volontari”, spiega Bussone prima di concludere la telefonata. “Il Canadair ha fatto un paio di voli, ma poi il buio l’ha costretto a fermarsi. Così si sono mosse le squadre di terra, anche se è molto più pericoloso lavorare così”.
Per questo non ha dubbi quando ci dice che l’esito dell’emergenza di stanotte sarebbe stato un altro, se non ci fossero state le decine di persone che si sono mobilitate tempestivamente per spegnere le fiamme. “Non voglio che questo impegno venga sminuito, perché è stato decisivo”, precisa. “Ancora una volta il paese si regge su un certo tipo di volontariato”. Che ha fatto tutta la differenza.
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