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Il governo Modi a settembre ha approvato un pacchetto legislativo che liberalizza il commercio agricolo. Migliaia di contadini indiani si stanno ribellando.
Da settimane centinaia di migliaia di contadini indiani si trovano accampati alle porte di Nuova Delhi. Sono arrivati da diverse zone dell’India con un solo obiettivo, far sentire la propria voce contro il governo. Il premier Narendra Modi ha infatti messo la sua firma su alcune leggi relative alla liberalizzazione del commercio agricolo, che danno ampio potere contrattuale alle grandi società agricole e di distribuzione e attentano alle condizioni di vendita dei piccoli contadini. La protesta va avanti da mesi e cresce giorno dopo giorno, tanto da essere stata definita la più grande crisi nella storia recente del paese.
A settembre il governo di Narendra Modi ha approvato tre nuove leggi di stampo liberista che rivoluzionano il settore agricolo dell’India. “A prima vista le leggi sembrano vantaggiose per il settore: allentano le restrizioni sull’acquisto e la vendita di prodotti, rimuovono i vincoli sulle scorte e permettono il lavoro a contratto sulla base di accordi scritti. Il governo punta a creare un ecosistema in cui agricoltori e commercianti abbiano la libertà di scelta”, ha sottolineato la scrittrice indiana Jayati Ghosh.
I contadini indiani hanno però espresso preoccupazione per quello che appare come un radicale processo di modernizzazione in cui non sono stati coinvolti. La Costituzione richiede in effetti consultazioni con il mondo agricolo e i governi locali che non ci sono state, per una legislazione che è stata dunque calata dall’alto. La libertà di vendere e acquistare i prodotti agricoli senza vincoli di prezzo e non più solo sui mercati regolamentati dallo stato, ma anche trattando coi privati, è il punto che incute più timore. A beneficiarne dovrebbero essere le società agricole più grandi e i colossi della distribuzione, che potranno imporre prezzi bassi grazie alla loro posizione, soffocando di fatto la concorrenza degli agricoltori più piccoli, per cui l’attività rischia di non essere più economicamente sostenibile.
Questo in un contesto dove già da diversi anni la domanda di prodotti agricoli è bassa, un elemento che ha messo in ginocchio il settore. Modi era salito al potere nel 2014 anche grazie al voto dei contadini, a cui aveva promesso un’inversione di tendenza nel crollo dei redditi che stavano subendo. Ma la discesa della domanda di prodotti agricoli, dunque dei prezzi e di conseguenza dei redditi, è proseguita, senza che il governo mostrasse di voler cambiare le cose. Le nuovi leggi sull’agricoltura e la modalità non consensuale con cui sono state approvate si inseriscono in un contesto che già ribolliva di malcontento.
“Delhi Chalo”, andiamo a Delhi. È la parola d’ordine che ha portato centinaia di migliaia di contadini indiani nella capitale, per far sentire nel modo più forte possibile la loro opposizione al nuovo pacchetto legislativo agricolo liberista. Le proteste andavano avanti già da un paio di mesi negli stati settentrionali del Punjab e dell’Haryana, ma da dicembre l’espressione del malcontento si è diffusa su scala nazionale. Sono state bloccate le autostrade che portano alla megalopoli e gli agricoltori si sono organizzati per far durare i loro picchetti a lungo.
Si sono verificati diversi scontri tra i manifestanti e la polizia, che ha usato gas lacrimogeni, cannoni ad acqua e sabbia per disperdere le persone. Almeno 35 contadini sono morti, secondo quanto riportato dalle stesse forze dell’ordine. Alcuni dei decessi sarebbero avvenuti per le condizioni meteorologiche estreme in cui si sono ritrovati a vivere, altri hanno perso la vita nelle colluttazioni con la polizia, altri ancora in incidenti stradali lungo le tortuose strade indiane.
Il governo Modi ha offerto ai contadini di rivedere alcune parti della nuova legislazione, ma la richiesta è una cancellazione totale della stessa. Negli ultimi giorni è intervenuta la Corte suprema indiana, che ha proposto al governo la creazione di un gruppo di mediazione con rappresentanti delle organizzazioni contadine ed esponenti del governo, per dialogare sulla riforma agraria. “L’atteggiamento del governo non porta a nulla. Se volete ottenere qualcosa, dovete incontrare gli agricoltori assieme a noi, che faremo da mediatori”, ha sottolineato S.A. Bobde, il presidente della Corte.
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