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La Corte suprema dell’India potrebbe confermare l’espulsione di quasi 8 milioni di persone che si sono viste rifiutare il riconoscimento dei diritti territoriali.
Lo scorso febbraio la Corte suprema indiana ha ordinato lo sfratto di quasi otto milioni di indigeni, appartenenti a diverse tribù, che dovranno abbandonare le loro terre ancestrali perché accusati di danneggiare la fauna selvatica. La sentenza, definita “una condanna a morte per milioni di indigeni” da Stephen Corry, direttore generale di Survival International, il movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni, prevede che i nativi debbano abbandonare le loro abitazioni entro il 27 luglio. Le tribù indiane sono inoltre minacciate dal nuovo Indian forest act, una revisione del precedente trattato redatto nel 1927 dai coloni britannici, che impone ai nativi restituzioni ancor più severe di quelle fissate dai governanti inglesi e che concede ai funzionari del Dipartimento forestale poteri eccezionali.
Il 18 luglio a Delhi si è svolto un confronto tra gli stati e il ministero agli Affari indigeni sul controverso ordine di sfratto emesso dalla Corte suprema. La prossima udienza della corte, che potrebbe confermare l’espulsione di oltre 1,1 milioni di famiglie, è invece prevista per il 24 luglio. La situazione per i popoli indigeni dell’India è drammatica, il nuovo ministro per l’Ambiente e le foreste, Prakash Javadekar, in carica dallo scorso 31 maggio, si è infatti espresso a favore delle politiche dello “sparare a vista” ai nativi nelle aree protette.
Il nuovo emendamento, l’Indian forest act 2019, di cui attualmente è trapelata solo una bozza, prevede un imponente programma di militarizzazione delle foreste e delle riserve delle tigri indiane, che saranno pattugliate da migliaia di funzionari armati. I funzionari del Dipartimento forestale avranno il diritto di sparare alle persone per “prevenire” danni alla foresta, godendo sostanzialmente di immunità giudiziaria, anche gli operatori forestali saranno liberi di sparare, confiscare beni e arrestare cittadini, mentre l’onere di provare la propria innocenza sarà a carico dell’accusato. L’emendamento indebolisce fortemente il Forests rights act, strumento che riconosce agli abitanti della foresta diritti sulle loro terre ancestrali, anche all’interno delle aree protette, e che ha cercato di rimediare alle storiche ingiustizie subite dai popoli indigeni dell’India.
I diritti dei nativi, faticosamente conquistati, verrebbero dunque spazzati via in nome della conservazione. La tutela della tigre del Bengala (Panthera tigris tigris), predatore apicale a rischio estinzione, è fondamentale, e l’India è il Paese che ospita il maggior numero di tigri al mondo. È però necessario favorire la convivenza tra le persone che da sempre abitano le foreste e questi animali, anche perché, come ricorda Survival e dimostra la scienza, i nativi sono i migliori custodi delle foreste, che conoscono e proteggono da generazioni.
“La premessa su cui si fonda questa sentenza, che tratta i nativi come illegali residenti della foresta, è sbagliata – ha commentato la decisione della Corte suprema la relatrice speciale Onu per i diritti dei popoli indigeni. – I popoli indigeni sono i proprietari delle loro terre e delle loro foreste.” La conservazione, d’altronde, sembra essere solo un pretesto per sfruttare le foreste, come testimonia l’esplorazione per la ricerca di uranio all’interno della riserva delle tigri di Amrabad, da cui è stata allontanata la tribù dei Chenchu, e la possibilità, prevista dal nuovo emendamento, di utilizzare qualsiasi area di foresta ritenuta idonea per le piantagioni commerciali.
Quello che il governo indiano ha intenzione di fare al proprio popolo, o almeno a parte di esso, è addirittura peggio di quanto subito dagli indiani durante il colonialismo britannico. “Il colonialismo ha impiegato 3 o 4 generazioni per rubare le terre di circa 10-15 milioni di popoli indigeni nel mondo – ha affermato Stephen Corry – l’India sta ora cercando, in pochi mesi, di rubare le terre e i mezzi di sostentamento di quasi otto milioni di indigeni e altri abitanti della foresta, e di sparargli se cercano di farvi ritorno. La militarizzazione delle foreste sta avvenendo sotto forma di una legge, redatta con il Wwf, che dovrebbe aiutare la conservazione. È stata pianificata una delle più imponenti violazioni dei diritti umani nel mondo, e quasi nessuno si sta opponendo”.
I primi tragici effetti di questo processo sono già visibili: nel parco nazionale di Kaziranga, situato nei distretti di Golaghat e Nagaon dell’Assam, in soli tre anni i guardaparco avrebbero causato la morte di 50 persone, accusate di bracconaggio, e la menomazione permanente di un bambino di sette anni. La violenza dei guardaparco è raccontata in un recente documentario, diretto dal giornalista Jos van Dongen e trasmesso in un programma televisivo olandese.
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