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Il rifiuto assoluto di indossare l’hijab ne ha bloccato il trasferimento in ospedale dal carcere di Evin, a Teheran, in cui Narges Mohammadi è rinchiusa da quasi due anni con accuse pretestuose.
Il rifiuto del velo nega a Narges Mohammadi anche il diritto alle cure, dopo averla già privata della libertà. Alla vincitrice del premio Nobel per la Pace 2023, detenuta dal governo iraniano nel carcere di Evin a Teheran da quasi due anni ma bisognosa di urgenti cure mediche, è stata negata la possibilità di essere trasportata in ospedale perché si rifiuta di indossare l’hijab.
Secondo quanto riportato dalla famiglia dell’attivista, dopo aver rilevato due vene con gravi ostruzioni e alta pressione polmonare, con un’angiografia coronarica e una scansione polmonare urgentemente necessarie, “il direttore della prigione ha annunciato che, secondo gli ordini delle autorità superiori, era vietato mandarla all’ospedale senza velo e il suo trasferimento è stato annullato“. Per ora, non ci sono stati commenti da parte delle autorità iraniane.
Mohammadi soffre di seri problemi cardiaci e polmonari, che ne stanno facendo precipitare la situazione clinica. Anche l’equipe medica che l’ha visitata in carcere ha constatato la necessità di interventi specifici che Moahmmadi non può ricevere all’interno di Evin, il carcere in cui il governo rinchiude i dissidenti. Temendo per la sua vita, la famiglia di Mohammadi ha lanciato un appello internazionale, dopo aver riferito che “per due giorni e due notti, un gruppo di donne di Evin ha protestato nel cortile della prigione per mandare Narges Mohammadi all’ospedale”.
Narges Mohammadi è stata insignita del premio Nobel per la Pace a inizio ottobre. Il comitato norvegese ne ha esaltato “la lotta contro l’oppressione delle donne in Iran e la sua lotta per promuovere i diritti umani e la libertà per tutti”. Mohammadi è nata nel 1972 nella città di Zanjan, a nord-ovest della capitale iraniana Teheran. Sin dagli anni dell’università la sua vita è stata votata all’impegno civile e politico nella difesa dei diritti delle donne. Mohammadi è stata esponente di punta di numerosi gruppi clandestini che agivano in aperto contrasto con le regole imposte dal regime teocratico instaurato in Iran dopo la rivoluzione khomeinista del 1979.
La posizione di aperta denuncia nei confronti del regime iraniano è costata a Mohammadi anni di libertà. Ha trascorso gran parte degli ultimi 15 anni nel carcere di Evin a Teheran, il luogo in cui vengono rinchiusi i prigionieri politici. Complessivamente, Mohammadi ha subito 13 arresti, le sono state inflitte 5 condanne penali. Secondo l’ong Front Line Defenders, Mohammadi sta scontando un totale di circa 12 anni. La punizione del regime l’ha toccata anche corporalmente, con 154 frustate. Dal novembre 2021 si trova proprio a Evin, dove sta scontando una condanna a 10 anni e 8 mesi. Il suo assoluto rifiuto dell’hijab, obbligatorio in Iran negli spazi pubblici dal 1979, è il gesto più simbolico ed eclatante di una lunga lista di azioni di opposizione alla negazione dei diritti esercitata dal governo dell’Iran. In un messaggio letto dalla figlia e pubblicato in settimana sul sito del Nobel, Mohammadi ha descritto l’hijab obbligatorio come un “mezzo di controllo e repressione imposto alla società”.
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