Cosmesi naturale

Come leggere l’Inci sulle etichette dei cosmetici

Leggere e interpretare le etichette dei cosmetici, Inci in primis, non è sempre facile. Ecco come decifrare nomi e diciture.

Abbiamo da tempo preso familiarità a controllare gli ingredienti del cibo prima di acquistarlo, impariamo a fare la stessa cosa con creme, bagnoschiuma & co.

Bisogna saper leggere l’Inci. E documentarsi.

L’Inci (International nomenclature of cosmetic ingredients) è un codice utilizzato per indicare gli ingredienti, che vengono elencati in ordine decrescente tenendo conto della loro concentrazione. Oltre a questa lista di ingredienti, ci sono definizioni come naturale, bio (in inglese è organic), green che hanno bisogno di essere “decifrate”.

Naturale vs bio: interpretare le etichette

Capire la differenza tra un cosmetico naturale e uno “bio” non è sempre facile, è necessario distinguere tra tutte le definizioni.

In breve, un cosmetico naturale non contiene ingredienti di derivazione chimica, ma solo vegetale. Un cosmetico bio contiene in altissima percentuale estratti da piante coltivate biologicamente, ovvero escludendo l’utilizzo di prodotti di sintesi e Ogm.

Allora, in che senso una formula può essere definita green? Ancora: sono nati i cosmetici vegani, quali caratteristiche hanno in più o in meno rispetto a quelli bio? E infine, la domanda delle domande: naturale è sempre sinonimo di “buono”?

L'INCI questo sconosciuto impariamo a interpretarlo
L’Inci, questo sconosciuto: impariamo a interpretarlo

Le etichette dei cosmetici e la trasparenza

Per orientarci in questo dedalo di terminologia, abbiamo chiesto al dottor Umberto Borellini, cosmetologo, autore di La divina cosmesi in cui una parte è proprio la guida all’interpretazione delle etichette. “Facciamo un esempio: Naturale al 98 per cento è una dicitura, insieme appunto a bio, eco, organic  in qualche modo rassicurante perché per molti  include il significato di innocuo. Ma non sempre è così: qualsiasi ingrediente, anche se green, può provocare reazioni negative”.

“È solo dal 1999 che in Italia è obbligatorio indicare nelle etichette dei cosmetici la lista degli ingredienti”, specifica Borellini. “Da allora le norme che regolano il settore sono diventate sempre più severe per garantire una maggiore sicurezza ai consumatori e nel 2013 è entrata in vigore una normativa valida per tutti i paesi dell’Unione europea che garantisce una maggiore trasparenza obbligando per esempio, a indicare il nome del produttore e la scadenza del prodotto. Insomma, la legge c’è ed è anche tra le più serie e restrittive”.

“Inoltre, non esiste ancora una legge che regola il mercato dei prodotti eco-bio: tutto è affidato alla serietà di enti certificatori privati (come Ecocert e Icea) che attestano o meno la qualità dei cosmetici, ma il loro giudizio non è ‘ufficiale’. Dire poi che un cosmetico è per il 98 per cento naturale può essere ingannevole, se  per il 2 per cento è composto da ingredienti sintetici e additivi. Le formule vegane invece sono semplici da individuare poiché non devono essere presenti derivati animali: se sono presenti lard, lanolin, cera alba, collagen, lac, o helix asperis (bava di lumaca), significa che non è una formula vegan. Inoltre, considerando che la maggioranza dei prodotti è composta prevalentemente da acqua (talvolta fino al 99 per cento), sappiamo che è naturale, ma non certamente un principio attivo”, prosegue il dottor Borellini.

La cover del recente saggio del cosmetologo Umberto Borellini, La Divina Cosmesi.
La cover del recente saggio del cosmetologo Umberto Borellini, La Divina Cosmesi.

Le diciture: cruelty free, not tested on animals, gluten free

Quando leggiamo cruelty free o not tested on animals e vediamo sotto l’immagine di un coniglietto, pensiamo subito che quel prodotto non sia stato testato sugli animali e lo acquistiamo più volentieri, anche se magari costa di più. “In realtà si tratta di un claim fuorviante perché vanta una qualità che hanno tutti i cosmetici commercializzati nell’Unione europea”, ci informa il cosmetologo. Per quanto sia vero il fatto che scrivere “prodotto non testato su animali” non sia garanzia di cruelty free, è altrettanto vero che esistono prodotti che lo sono. Sono prodotti formulati con ingredienti non testati, da aziende che aderiscono, attraverso certificazione o autocertificazione, a disciplinari etici.

Come riconoscere i prodotti cruelty free

Il coniglietto è il contrassegno che identifica in etichetta la certificazione cruelty free, rilasciata in Italia da Icea in collaborazione con Lav. Non tutti i produttori certificati però decidono di modificare il packaging dei propri prodotti includendo questo simbolo mentre altri produttori non sono nella condizione di sostenere i costi di certificazione e utilizzo del logo, optando per l’autocertificazione. Ne consegue dunque che cruelty free possano essere anche prodotti che non sono contrassegnati dal coniglietto. A fare la differenza è l’impegno che si assume il produttore: se non testa sugli animali né le materie prime né il prodotto finito, può definirsi cruelty free. Le cose sono diverse quando sulla confezione viene apposta la dicitura “Non testato sugli animali”. Nella maggior parte dei casi infatti rivela che il prodotto finito non è stato testato sugli animali, ma non garantisce la stessa attenzione nei passaggi precedenti (materie prime). L’impegno delle aziende cruelty free è invece quello di avere una filiera amica degli animali dall’inizio alla fine della produzione, in tutte le sue fasi. Una selezione molto interessante di cosmetici cruelty free è presente su ohanabioshop.it.

Gluten free

Un’altra dicitura, ultimamente molto gettonata e che strizza l’occhio al marketing, è gluten free. “Chi è celiaco deve tenersi alla larga da questa proteina, ma soltanto se la ingerisce, non se la si applica sulla pelle. E se anche casualmente dovesse inghiottirla perché presente, per esempio, in un rossetto (contenente amido o proteine del grano), sarebbe in quantità tali da non rappresentare un rischio perché certamente al di sotto della soglia consentita per definire un alimento gluten free, cioè 20 parti per milione”, conclude Borellini.

Perciò, impariamo a interpretare, documentandoci possibilmente in prima persona, dando poco retta ai luoghi comuni e al “sentito dire”.

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