La siccità continua, sempre più vicino il “giorno zero” per Città del Messico. Ma nelle altre città la situazione non è migliore.
Ci stiamo mangiando il pianeta
È quanto sostiene la professoressa di filosofia Lisa Kemmerer, autrice del libro Mangiare la terra. Etica ambientale e scelte alimentari.
Le foreste che un tempo ricoprivano il pianeta e che sono state la culla della nostra specie sono sempre più rade. Anche la biodiversità sta vivendo un declino inesorabile, la fauna globale è diminuita del 58 per cento dal 1970 al 2012 e negli ultimi quarantacinque anni la quantità di fauna ittica nei nostri oceani si è dimezzata. La correlazione tra lo sfacelo ambientale che sta vivendo il pianeta e la nostra alimentazione è ormai evidente, non possiamo più ignorarla.
Mangiare la terra
Proprio alla connessione tra le scelte alimentari quotidiane e il degrado dell’ambiente è dedicato il libro “Mangiare la terra. Etica ambientale e scelte alimentari”, scritto da Lisa Kemmerer, professoressa di filosofia delle religioni presso la Montana State University. La studiosa ha realizzato un’opera che evidenzia l’enorme impatto ambientale dell’allevamento, della pesca e della caccia sugli ecosistemi di tutto il mondo.
Il potere dei consumatori
L’autrice ricorda ai consumatori il grande potere che detengono, sostenendo che la scelta quotidiana di ciò che portiamo in tavola ha effetti concreti sull’ambiente e che con scelte oculate possiamo contribuire a evitare la deforestazione, l’inquinamento, l’impoverimento dei suoli e dei mari. “Come consumatori […] con il vostro portafoglio votate a favore o contro la terra – si legge nel libro. – Impegnarsi in una dieta vegetale è la decisione più importante che potete intraprendere in nome dell’ambiente. Potete decidere da che parte schierarvi ogni volta che sedete a tavola a mangiare”.
L’impatto degli allevamenti
Nel libro Lisa Kemmerer fa ampio ricorso a dati che supportano la sua tesi, sostenendo ad esempio che una porzione di carne bovina crea un potenziale di riscaldamento atmosferico pari a 36 chili di anidride carbonica. Ancora più significativo è il dato relativo ai prodotti agricoli destinati a nutrire il bestiame, il 70 per cento dei cereali statunitensi e il 60 per cento di quelli europei vengono utilizzati per alimentare gli animali da allevamento.
La principale causa di cambiamenti climatici
Il consumo di prodotti animali, secondo l’autrice, produce dieci volte più emissioni di combustibile fossile per caloria rispetto al consumo diretto di alimenti vegetali. Kemmerer fa riferimento al rapporto Livestock’s Long Shadow, pubblicato nel 2008 dalle Nazioni Unite. Lo studio identifica nell’allevamento degli animali la causa principale dei cambiamenti climatici, Kemmerer imputa però agli autori del rapporto di essersi tirati indietro dalle ovvie conclusioni: “se abbiamo intenzione di proteggere l’ambiente, dobbiamo smettere di produrre e consumare animali e prodotti di origine animale”.
Non esistono prodotti animali economici
“La carne, latticini e uova a basso prezzo sono un’illusione”, sottolinea Kemmerer, i prezzi stracciati a cui vengono venduti tali alimenti non tengono conto infatti dei costi esternalizzati a carico dell’intera comunità. “Paghiamo per ognuno di essi con foreste impoverite, acque dolci inquinate, degrado del suolo e cambiamento climatico. Il regime alimentare è la più importante decisione che intraprendiamo riguardo al nostro impatto ambientale”.
Il silenzio degli ambientalisti
Anche gli ambientalisti, ricorda l’autrice, tendono a essere inspiegabilmente silenti sull’argomento delle scelte alimentari. “Piuttosto che alterare piani per i pasti, e chiedere agli altri di fare lo stesso, gli ambientalisti hanno preferito sollecitarci a usare meno acqua per i prati e sotto la doccia, a scegliere auto a basso consumo di carburante e lampadine fosforescenti. Mentre questo sono importanti misure, ognuna di essere è irrilevante se messa a confronto con i benefici ambientali di passare a una dieta vegana”.
Oceani di morte
Il libro evidenzia anche l’enorme impatto dell’industria ittica, la pesca industriale sta gradualmente svuotando mari e oceani di tutto il mondo ed è basata su un modello non sostenibile. Nel 2003 la Pew Ocean Commission segnalò il preoccupante declino dei grandi predatori marini, “abbiamo rimosso una quantità pari al 90 per cento dei grandi predatori come squali, pesce spada e merluzzo dagli oceani del mondo”. Un effetto perverso di questo tipo di pesca è quello che viene definito “cattura accessoria”, con questo termine si indicano quelle creature marine catturate per sbaglio, anche se, come ci ricorda Jonathan Safran Foer, “non è davvero per sbaglio perché le prede accessorie sono parte costitutiva dei metodi di pesca contemporanei che generano catture abnormi con quantità di prede accessorie abnormi”. Nell’interminabile elenco delle prede accessorie troviamo uccelli marini, tartarughe, balene, delfini e foche. C’è però un modo per evitare di contribuire all’impoverimento degli ecosistemi marini e terrestri, decidere di mangiare qualcos’altro.
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