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I meli selvatici del Kazakistan vincono il Premio Scarpa per il Giardino
È possibile scorgere un giardino, ovvero un’armoniosa coesistenza di paesaggi e biodiversità, di insediamento umano e patrimonio ambientale, perfino tra i resti di un’antica foresta di meli selvatici situata lungo la catena montuosa del Tien Shan, sulla leggendaria “via della seta”, tra Cina, Kirghizistan, Uzbekistan e Kazakistan. È in quest’ultimo territorio che l’incidenza di
È possibile scorgere un giardino, ovvero un’armoniosa coesistenza di paesaggi e biodiversità, di insediamento umano e patrimonio ambientale, perfino tra i resti di un’antica foresta di meli selvatici situata lungo la catena montuosa del Tien Shan, sulla leggendaria “via della seta”, tra Cina, Kirghizistan, Uzbekistan e Kazakistan.
È in quest’ultimo territorio che l’incidenza di un simile leitmotiv vegetale diviene talmente diffusa e caratterizzante da lasciare traccia di sé perfino nella denominazione dell’antica capitale kazaka Almaty, che non a caso significa proprio “luogo delle mele”.
Alla straordinaria varietà morfologica di questi alberi, che si esprime attraverso un’amplissima gamma di altezze (fino a 30 metri), età (fino a 350 anni), colori, sapori e dimensioni dei frutti, la Fondazione Benetton ha voluto dedicare la XXVII edizione del Premio Carlo Scarpa per il Giardino, iniziativa annuale mediante la quale l’apposito comitato scientifico non si limita semplicemente a suggellare il pregio storico-estetico del luogo di volta in volta prescelto, ma cerca di contribuire fattivamente alla sua valorizzazione, alla promozione culturale e divulgativa nonché soprattutto alle operazioni di tutela e salvaguardia rese necessarie dalle peculiari caratteristiche di fragilità del sito in questione.
Nel caso dei meli selvatici del Tien Shan, in effetti la stessa sopravvivenza della specie vegetale è stata messa a dura prova e significativamente rarefatta dai numerosi disboscamenti ed incendi riconducibili alle millenarie politiche sovietiche di promozione dell’agricoltura.
Vicende, peculiarità e motivazioni alle quali verrà riservata la dovuta attenzione sia nel corso della cerimonia della premiazione che si svolgerà a Treviso il prossimo 14 maggio sia attraverso la mostra che verrà inaugurata il giorno prima (13 maggio) nei locali della Fondazione stessa.
Un’illuminante scoperta botanica
Se indaghiamo sulle remote origini botaniche di questi alberi scopriremo che il loro nome di battesimo latino, Malus sieversii, rinvia all’identità di un autorevole scopritore, ovvero l’erborista tedesco Johann August Carl Sievers (1762-1795) che ricevette niente meno che da Caterina II di Russia l’incarico di condurre una dettagliata ricognizione naturalistica dei vastissimi territori dell’impero.
Malgrado la sua morte prematura, l’accurata opera di studio ed analisi scientifica dei meli selvatici riuniti in macchie forestali sui versanti delle montagne del Tien Shan e sui dolci frutti che essi producono, verrà scrupolosamente proseguita da altri botanici tedeschi, sino a quando nel 1929 l’evoluzionista russo Nicolaï Vavilov formulerà l’ipotesi (recentemente confermata) che nel Malus sieversii si possa identificare l’origine botanica di quella che oggi è comunemente nota a tutti come mela.
Da tale scoperta scaturisce una conseguenza tanto inattesa quanto clamorosa, secondo la quale la nostra cara vecchia mela –al netto di tutte le sue numerosissime valenze simboliche ed archetipiche– non è soltanto la prima coltura da frutto dei paesi a clima temperato ma, contrariamente a quanto si è sempre tradizionalmente creduto, non può più essere considerata come il tipico prodotto della coltivazione umana, dato che in Kazakistan essa esiste allo stato selvatico endemico.
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