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Donald Trump ha firmato un decreto che, d’ora in avanti, pone fine alla separazione delle famiglie di migranti. Ma che non parla di quelle già divise.
Mercoledì 20 giugno il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha firmato un decreto presidenziale che pone fine alla spietata separazione dei bambini dai genitori imposta ai migranti che hanno varcato illegalmente la frontiera con il Messico. Una decisione che per il miliardario americano rappresenta la prima grande “ritirata” politica del suo mandato.
L’amministrazione di Washington ha dovuto infatti cedere alle pressioni interne (perfino il partito repubblicano ha chiesto un passo indietro) e internazionali. La politica di “tolleranza zero” in materia di immigrazione imposta dal ministro della Giustizia Jeff Sessions non è difendibile. Strappare 2.342 bambini di età compresa tra 4 e 10 anni dalle mani dei genitori e rinchiuderli in gabbie metalliche in attesa che le madri e i padri siano giudicati dai tribunali non è difendibile.
“This isn’t King Donald Trump, it’s President Donald Trump. He’s responsible to us and it’s a valid question: Where are we morally as a country?” -CNN political analyst Brian Karem on asking WH press secretary Sanders about separation of families at border https://t.co/FKWbxDK1VL pic.twitter.com/hZQNQzRJwV
— CNN International (@cnni) 15 giugno 2018
A nulla è valso il goffo – e smaccatamente bugiardo – tentativo della segretaria alla Sicurezza interna, Kirstjen Nielsen, di negare l’evidenza, affermando che “la politica di separazione dei bambini dai genitori non esiste”.
We do not have a policy of separating families at the border. Period.
— Sec. Kirstjen Nielsen (@SecNielsen) 17 giugno 2018
Né è stato sufficiente per Donald Trump provare ad addossare la responsabilità politica ad altri: come documentato dalla Cnn, non è vero – come affermato dal presidente americano – che la norma sia stata introdotta durante le precedenti amministrazioni democratiche.
Va detto però che il leader statunitense non ha fatto completamente marcia indietro rispetto alla strategia della “tolleranza zero”. Il decreto firmato ieri, infatti, non cambia nulla per i migranti adulti. In altre parole, chiunque verrà trovato sul territorio americano senza un regolare permesso, continuerà ad essere immediatamente incarcerato. Tuttavia, se si tratta di famiglie – è questa la novità – anche i bambini finiranno dietro le sbarre.
Tutto ciò pone una serie di problemi non di poco conto dal punto di vista giuridico. Primo fra tutti, il fatto che la detenzione massima di un minorenne, in attesa di giudizio, è fissata a venti giorni. E i tribunali degli Stati Uniti, sovraccarichi, non riescono ad assumere decisioni in così breve tempo. Spesso ci vogliono parecchi mesi, se non anni, prima di un giudizio definitivo. Il rischio dunque è che i bambini, nel giro di poche settimane, possano essere costretti a separarsi nuovamente dai genitori. O che – qualora Sessions riesca a cambiare rapidamente le regole – debbano vivere la drammatica esperienza di un lungo periodo di detenzione.
Il Washington Post ha in questo senso riportato le preoccupazioni della capogruppo della minoranza democratica alla Camera dei rappresentanti, Nancy Pelosi, secondo la quale “anziché proteggere i bambini traumatizzati, il presidente ha ordinato al ministro della Giustizia di aprire loro le porte delle prigioni”. Lo stesso quotidiano indica che la questione sarà con ogni probabilità oggetto di una vigorosa battaglia giuridica.
Inoltre, la Cnn ha sottolineato come il decreto indichi come procedere d’ora in poi nei confronti dei migranti. Ma non come risolvere il problema delle famiglie che sono già state separate: il documento firmato da Donald Trump, infatti, non le menziona neppure.
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