Pride

Com’è andato il pride di New York che ha celebrato i 50 anni dai moti di Stonewall

Il 30 giugno si è tenuto il pride di New York, uno dei più importanti al mondo perché è proprio nella città americana che nacque il movimento per i diritti Lgbtq dopo i moti di Stonewall del 1969. La cronaca della giornata.

Quest’anno a New York il pride è durato un mese. Giugno 2019 ha segnato il cinquantesimo anniversario della rivolta dello Stonewall che diede inizio al movimento per i diritti Lgbtq in America e che, un mese dopo, fu l’occasione per organizzare la prima marcia in cui venne utilizzato il termine “gay pride”. Ma è stato quello che si è appena concluso il fine settimana più intenso, a partire da venerdì con la cerimonia di commemorazione davanti allo Stonewall, bar ancora in attività e oggi monumento nazionale, per finire domenica 30 giugno con la più grande Worldpride march della storia.

Il 28 giugno è stato proclamato Stonewall day a New York

Venerdì, all’incrocio tra Christopher Street e Waverly Place, proprio dove 50 anni fa si radunarono in tanti per offrire supporto e solidarietà alla comunità gay vessata dalla polizia, da un palco allestito per l’occasione, il sindaco Bill de Blasio ha proclamato il 28 giugno Stonewall day e si è detto orgoglioso di essere il sindaco della “più grande comunità Lgbtq sulla faccia della terra”. Dallo stesso palco, prima e dopo de Blasio, hanno parlato alle migliaia di persone raccolte nella piazzetta davanti al bar, personaggi pubblici, rappresentanti delle istituzioni, attivisti e alcuni dei protagonisti del movimento Lgbtq internazionale.

Tra gli altri, la senatrice dello Stato di New York, attualmente in corsa per le primarie democratiche, Kirsten Gillibrand che ha ricordato quanto, nel clima politico attuale, sia cruciale continuare a far sentire la voce di una comunità ancora minacciata. Un momento emotivo è stato il discorso di Barbara Poma, proprietaria del Pulse di Orlando, oggetto di un sanguinoso attentato omofobo nel giugno del 2016. La commemorazione allo Stonewall è stato il momento più politico del weekend che, subito dopo la cerimonia ufficiale, ha lasciato spazio alla festa. La serata di venerdì si è conclusa con balli e momenti spontanei di aggregazione nel Greenwich village. Un’atmosfera di gioia e celebrazione che ha invaso la città per tutto il weekend, fino alla marcia di domenica. O meglio: alle marce. In contrapposizione alla Pride march infatti, domenica mattina ha attraversato le strade di Manhattan un altro corteo, non autorizzato: la Queer liberation march che nasce in contrapposizione a un pride ormai troppo legato alle grandi corporation e a un mainstream in cui molti non si riconoscono.

La Queer liberation march, contro la parata delle corporation

La contromarcia è partita alle 9:30 dallo Stonewall per finire a Central Park. La folla era variegata e tanti erano i cori e i cartelli che ricordavano le origini del movimento e la difficoltà del momento politico attuale. Depurata dalla presenza di grandi marchi e grandi investimenti, la marcia è stata una festosa e sentita protesta che ha ricordato alla città che il pride nasce dalla strada, dal basso. Molti ne hanno approfittato per riportare l’attenzione sulle questioni più pressanti dell’America contemporanea, dal disumano trattamento degli immigrati alla diffusione delle armi da fuoco. Alle 13:00 è partita invece da Madison square park l’immensa marcia ufficiale che è scesa fino al Greenwich village e allo Stonewall per poi chiudersi a Chelsea. A guidare la parata, i grand marshall, tra cui due dei protagonisti di quella notte di 50 anni fa allo Stonewall e in seguito fondatori del Gay liberation front, Mark Segal e Karla Jay. Con loro la creatrice della bandiera Trans pride, Monica Helms e alcune componenti del cast della serie musicale Pose.

Tra queste ultime, Indya Moore che, nel corso della conferenza stampa di apertura dell’evento, ha criticato la presenza della polizia alla marcia, ricordando che per una parte della comunità la vista della polizia evoca esperienze traumatiche. L’attrice ha infatti raccontato di essere stata vittima di trafficanti del sesso ed essere stata esposta a violenze, discriminazione e conseguente abuso di droghe e arresti, ricordando poi le tante sorelle ingiustamente incarcerate. In particolare, Moore ha chiesto di non lasciare nell’ombra il caso di Layleen Polanco, una donna transgender morta poche settimane fa nella prigione di Rikers Island, in circostanze ancora da chiarire. Ma nonostante qualche invito alla riflessione, il clima generale è stato più di festa che di protesta.

L’assenza della comunità italoamericana al pride di New York

Lungo tutto il percorso, centinaia di migliaia di persone hanno salutato il corteo sventolando bandiere tricolore da ogni marciapiede, incrocio, terrazza, scala antincendio, finestra e impalcatura. Carri, bande, cheerleader, ballerini e performer di ogni tipo hanno marciato fino a sera, ma la massiccia presenza di banche, assicurazioni, compagnie aeree e telefoniche, case di moda, bibite e multinazionali varie, ha lasciato poco spazio a una comunità che, se in occasione del Pride riesce ad attirare la simpatia dei grandi brand, nel quotidiano è ancora marginalizzata e stigmatizzata. Qui e là, nel percorso della marcia spuntava qualche associazione genuinamente legata al movimento Lgbtq e alla rivendicazione dei diritti delle minoranze. Marciava per il secondo anno il gruppo Prism (People at Rockefeller identifying as sexual/Gender minorities), fondato da studenti della Rockefeller University per incoraggiare la visibilità delle persone Lgbtq nel mondo della scienza e dell’high tech.

“Nell’ambito scientifico è ancora difficile esprimere la propria identità di genere – ci ha detto Gabriella Spitz-Becker –. Noi cerchiamo di offrire dei modelli positivi e supporto ai giovani scienziati che vogliano trovare spazi di visibilità come membri di questa comunità”. Toccante e coraggiosa la presenza alla marcia di Raha, gruppo iraniano di supporto alle persone Lgbtq. “Siamo qui – ci ha spiegato Shervin Khorramian – per dare voce a quelli che non hanno potuto essere qui, quelli che non sono ancora usciti allo scoperto. A loro diciamo: noi esistiamo e quando voi sarete pronti, noi saremo pronti ad accogliervi. Siamo qui anche per rendere omaggio a chi è venuto prima di noi e prima di noi ha combattuto e a chi verrà dopo e che speriamo possa avere una vita più facile”. Sono tanti i paesi in cui i diritti delle persone Lgbtq si scontrano con culture in cui l’omosessualità è stigmatizzata e oggetto di vere e proprie persecuzioni e in tanti hanno deciso di essere presenti a questa marcia storica, in una città multietnica come New York: coloratissimi e orgogliosamente etnici i cortei indiani, indonesiani e caraibici. Un affollato carro portava la scritta “pride immigrants” ed era carico di volti dai mille colori. Completamente assente, invece, la numerosissima comunità italoamericana newyorchese che, pure, avrebbe tanto da fare e da rimediare in quanto a diritti e identità di genere.

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