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La qualità delle cure ospedaliere in Italia continua a registrare un costante miglioramento più evidente in alcune aree del paese e meno percepibile nel Sud Italia dove, comunque, si registrano piccoli ma importanti passi in avanti. Proprio le disparità che permangono tra aree geografiche e anche tra ospedali della stessa regione rispetto agli standard internazionali
La qualità delle cure ospedaliere in Italia continua a registrare un costante miglioramento più evidente in alcune aree del paese e meno percepibile nel Sud Italia dove, comunque, si registrano piccoli ma importanti passi in avanti. Proprio le disparità che permangono tra aree geografiche e anche tra ospedali della stessa regione rispetto agli standard internazionali (per esempio nel numero ancora troppo alto di parti cesarei) rappresentano le sfide da affrontare in futuro dalla sanità italiana. E’ questo il quadro che emerge dai risultati dell’edizione 2016 del Programma nazionale esiti dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, che si occupa della valutazione dell’efficacia delle strutture italiane.
#sanitàitaliana #ospedali E’ disponibile l’edizione 2016 del Programma Nazionale Esiti vai al nuovo sito: https://t.co/DR7w5Enb8G pic.twitter.com/gEWIDLh0NR
— Agenas (@Agenas_Salute) 19 dicembre 2016
Il monitoraggio si è concentrato su sette diverse aree cliniche: cardiocircolatoria, nervosa, respiratoria, chirurgia generale, chirurgia oncologica, gravidanza e parto, osteomuscolare: in tutti i settori i miglioramenti sono evidenti. Nel 2015, a livello nazionale, le strutture che raggiungono livelli di qualità alti o molto alti sono il 14,7 per cento del totale delle strutture valutate; se gli stessi criteri fossero stati applicati nel 2010, le strutture sarebbero state meno del 9%. Gli ospedali che sono risultati insufficienti in almeno la metà degli ambiti valutati sono il 10 per cento, una media che sale fino a oltre il 30 per cento in Campania e in Abruzzo.
Due ambiti in cui nel 2015 si sono registrati miglioramenti, ma che restano ancora al di sotto degli standard internazionali, sono quelli che riguardano fratture del femore e parti. Nel primo caso, la proporzione di fratture del collo del femore sopra i 65 anni di età operate entro due giorni (tempistica fondamentale per la buona riuscita dell’intervento) è passata dal 31 per cento del 2010 al 55 percento del 2015, restando ancora al di sotto dello standard internazionale atteso, superiore all’80: oltretutto operare tempestivamente è anche un vantaggio in termini di risorse impiegate, con più di 670mila giornate di degenza risparmiate, di cui 200mila solo nel 2015. Ad eccezione di Campania, Molise e Calabria in ogni regione è presente almeno una struttura che possiede gli standard qualitativi minimi in questo ambito. L’Istituto ortopedico Galeazzi a Milano, il Santa Maria della Scala a Imola e la Fondazione Poliambulanza di Brescia sono gli ospedali più virtuosi d’Italia con oltre il 90 per cento di operazioni entro due giorni.
Per quanto riguarda i cesarei invece, l’Organizzazione mondiale della sanità ritiene non giustificata una proporzione non superiore al 15 per cento dei casi: in Italia la proporzione continua a scendere progressivamente dal 29% del 2010 al 25% del 2015, con grandi differenze all’interno di ogni singola regione e tra le regioni. Rimangono ancora evidenti le differenze tra le regioni del nord Italia e le regioni del sud, con valori medi ch nel caso della Campania sono stabili al 50 per cento. Fa eccezione la Liguria, con risultati analoghi a quelli delle regioni del Sud. L’ospedale di Carate Brianza, l’ospedale di Lecco e l’ospedale del Ponte a Varese sono quelli che ricorrono meno di tutti a cesarei, con meno del 7 per cento dei casi.
Dove invece i miglioramenti sono omogenei su tutto il territorio è nella mortalità a 30 giorni dal ricovero per infarto acuto del miocardio, che continua a diminuire, dal 10,4 per cento al 9,0 del 2015. Ma al San Raffaele di Milano, alle Cliniche Gavazzeni di Bergamo e al Santa Chiara di Trento siamo sotto lo 0,50 di decessi a 30 giorni dall’applicazione di un bypass aortocoronarico.
Più in generale, ma soprattutto in relazione ai parti, lo studio evidenzia una forte correlazione tra volumi di interventi ed esiti degli stessi: vale a dire che quanti più interventi un ospedale gestisce nel corso di un anno, tanto migliori sono gli esiti, e viceversa. La correlazione suggerisce dunque come sia preferibile, fatte le dovute eccezioni, scegliere il grande ospedale rispetto alla piccola struttura, per una questione di macchinari ma anche di esperienza del personale, tanto che sono in forte diminuzione i reparti in cui si effettuano meno di 500 parti l’anno.
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