Un rapporto indica che la capitale dell’Indonesia Giacarta accoglie ormai 42 milioni di persone: più di Dacca, seconda, e di Tokyo.
Alcuni hanno condannato, altri sono rimasti in silenzio: la comunità internazionale ha fallito nell’imporre un embargo per la vendita di armi all’Arabia Saudita, mentre in Yemen le bombe made in Italy uccidono ogni giorno.
Predicare bene e razzolare male, si sa, è prerogativa comune alle grandi potenze e nella storia delle relazioni internazionali la Realpolitik ha seguito criteri che la ragione non comprende o, almeno, non condivide. Eppure dopo più di tre anni di guerra in Yemen, una crisi umanitaria senza precedenti, una popolazione ridotta allo stremo e oltre 85mila bambini morti di fame, la comunità internazionale ha raggiunto vette ineguagliate quanto ad evanescenza e ipocrisia.
Leggi anche: Yemen. La guerra, il silenzio e l’ipocrisia
Evanescenza perché non è riuscita – nonostante ripetuti allarmi e appelli accorati delle organizzazioni umanitarie – a negoziare una tregua tra le parti in lotta. Ipocrisia, perché alle solenni dichiarazioni di intenti non ha fatto seguito un’azione concertata che imponesse l’embargo sulle armi che alimentano il conflitto.
Il presidente americano Donald Trump non ha fatto mistero che i guadagni derivanti dalla vendita di armi all’Arabia Saudita sono un valido motivo per schierarsi con la dinastia Al Saud sempre e comunque. Anche dopo lo scandalo per l’uccisione del giornalista saudita Jamal Khashoggi, assassinato lo scorso 2 ottobre nel consolato saudita a Istanbul, la cui morte porta la firma del nuovo uomo forte di Riad, il principe ereditario Mohammed bin Salman.
Just spoke to the King of Saudi Arabia who denies any knowledge of whatever may have happened “to our Saudi Arabian citizen.” He said that they are working closely with Turkey to find answer. I am immediately sending our Secretary of State to meet with King!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 15 ottobre 2018
Ma qualcosa ha cominciato lentamente a muoversi e pochi giorni fa la Danimarca si è unita al club dei paesi che hanno sospeso la vendita di armi all’Arabia Saudita, composto già da Grecia, Finlandia, Norvegia, Svizzera e Germania.
Ma allora chi rifornisce di armi il governo di Riad? Secondo i dati dell’Istituto internazionale di ricerca sulla pace (Sipri), il 61 per cento delle commesse è degli Stati Uniti. Al secondo posto per distacco, con circa il 23 per cento degli ordigni e delle tecnologie rifornite, fa bella posta il Regno Unito di Theresa May. Ma anche Francia, Italia e Spagna fanno la loro parte.
Parigi figura al terzo posto fra i paesi fornitori e per ora ha confermato ai principi sauditi tutte le commesse. Anche la Spagna del socialista Pedro Sánchez china il capo alla Raison d’etat e incassa il compenso relativo alla fornitura di 5 corvette militari, mentre l’Italia – con le parole del ministro Moavero Milanesi – dichiara che “sta senz’altro valutando” la possibilità di sospendere le forniture al governo di Riad. Con quasi 500 milioni di euro di export – prodotti dalla Rwm Italia con sede a Domusnovas, nel Sulcis sardo – il nostro paese è al quarto posto tra i fornitori europei di armi all’Arabia Saudita.
Così, sotto il velo dell’ipocrisia europea e mondiale, il commercio di armi verso la monarchia saudita non conosce ostacoli. Il mercato è troppo ghiotto considerato che quest’ultima è il terzo importatore di armi al mondo e che nel 2017 la spesa militare globale ha raggiunto i 1.739 miliardi di dollari, pari al 2,2 per cento del pil globale. Il livello più alto dalla fine della Guerra fredda. E pazienza se Riad rifiuta le investigazioni internazionali ogni volta che una bomba cade su un ospedale, su una festa di matrimonio o su uno scuolabus.
Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.
![]()
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Un rapporto indica che la capitale dell’Indonesia Giacarta accoglie ormai 42 milioni di persone: più di Dacca, seconda, e di Tokyo.
Dopo la prima bozza di piano profondamente sbilanciata a favore della Russia, ora c’è una nuova bozza di accordo che piace all’Ucraina.
Il 29 ottobre un carico di bombe made in Italy è partito dalla Sardegna con destinazione l’Arabia Saudita. Lo ha denunciato Amnesty International Italia, l’organizzazione che da anni si batte per la difesa dei diritti umani nel mondo. Amnesty ha chiesto al governo italiano di non inviare armamenti in Arabia Saudita perché la nazione è impegnata in un conflitto in Yemen
La sentenza è arrivata sul caso di due cittadini polacchi sposati in Germania. La Polonia si era rifiutata di riconoscere il loro matrimonio.
Nella notte è uscita una nuova bozza che fa crollare le speranze. 30 paesi scrivono alla presidenza che è inaccettabile.
Il piano di pace per l’Ucraina ricorda molto quello per la Striscia di Gaza. Kiev dovrebbe cedere diversi suoi territori alla Russia e ridimensionare l’esercito.
La risoluzione dell’Onu su Gaza prevede l’invio di truppe internazionali e il disarmo di Hamas. Ma la strada è subito in salita.
Un rapporto della ong israeliana PHRI denuncia la strage di palestinesi nelle strutture detentive israeliane. I morti ufficiali sono 98 ma si contano centinaia di dispersi.
La procura di Istanbul ha formulato le accuse nei confronti dell’ex sindaco Ekrem Imamoglu. I capi d’accusa per l’oppositore di Erdoğan sono 142 per oltre 2.500 anni di carcere.

