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L’80 per cento del petrolio estratto in Italia viene dalla Basilicata. Ma questa presunta ricchezza non ha portato benefici alla popolazione.
I giacimenti petroliferi nel mar Adriatico per i quali si chiede di non rinnovare le concessioni tramite il referendum di domenica 17 aprile riguarda l’un per cento del petrolio italiano. L’80 per cento, invece, viene estratto da decenni in Basilicata dove esistono 70 impianti di trivellazione concentrati in Val d’Agri. Pozzi che fanno dell’Italia il 49esimo produttore di petrolio al mondo. Già da questi primi dati si capisce che il nostro paese, l’Italia, non è una grande potenza in fatto di petrolio. Insomma la Basilicata non è il Texas. E l’associazione Italia Nostra, in un dossier di 18 pagine, ci spiega il perché.
Numero di concessioni attive su terraferma | 119 |
Numero di concessioni attive in mare | 72 |
Numero di permessi di ricerca per idrocarburi su terraferma | 83 |
Numero di permessi di ricerca per idrocarburi in mare | 24 |
Riserve di combustibili fossili | 130 milioni di tonnellate |
In Italia sono vigenti 83 permessi di ricerca per idrocarburi sulla terraferma e 24 permessi nel sottofondo marino. Le concessioni – ovvero il titolo di rilascio a seguito di una ricerca positiva – su terraferma sono 119 e quelle in mare 72. Nonostante l’Adriatico sia un “mare chiuso” dall’ecosistema estremamente fragile, e nonostante sia già messo a dura prova con 88 concessioni attive per l’estrazione di petrolio entro le 12 miglia, ben 44 di queste sono state approvate prima del 1986 e per questo non sono mai state sottoposte a una valutazione d’impatto ambientale.
Percentuale di petrolio italiano estratto | 80% |
Numero di trivelle in Basilicata | 70 |
Numero di barili di petrolio estratti al giorno | 90.000 |
Numero di pozzi realizzati | 482 |
Numero di pozzi attivi | 37 |
Numero di impiegati nel settore estrattivo | 265 |
Differenza tra pil regionale e media nazionale | - 6,1% |
Le estrazioni di idrocarburi offrono vantaggi irrisori sotto il profilo energetico ed economico, come scrive lo stesso ministero dello Sviluppo economico: le nostre riserve di idrocarburi ammontano a 130 milioni di tonnellate, di cui solo il 30 per cento definite “certe” (il 50 per cento sono “probabili”, il 20 per cento “possibili”), destinate quindi ad esaurirsi in poco tempo.
Chi crede all’equazione petrolio uguale innovazione e ricchezza, dovrebbe consultare i numeri relativi allo sviluppo della Basilicata dovuto all’estrazione dei combustibili fossili. La regione da cui si estrae l’80 per cento del petrolio italiano ha il prodotto interno lordo (pil) più basso del Paese, 265 impiegati nel settore estrattivo (a fronte di 576mila abitanti) – di cui 143 lucani – e le royalties più basse del mondo. Le royalties che le aziende del petrolio versano in generale all’Italia sono tra le più basse d’Europa: il 10 per cento contro il 77 per cento della Danimarca, il 78 per cento della Norvegia e l’82 per cento dell’Inghilterra. Concludono la carrellata uno dei tassi di migrazione tra i più alti: dalla Val d’Agri sono partite più di mille persone negli ultimi dieci anni facendo impennare la percentuale di anziani sul totale, che è la più alta del Mezzogiorno. Se a questo si aggiunge la carenza delle infrastrutture, un’arretratezza nel settore dei trasporti e la soppressione dei servizi essenziali in molti comuni, possiamo dire che la Basilicata non si è arricchita grazie al petrolio, nonostante si estraggano 90mila barili al giorno da 37 pozzi (su 482 realizzati negli anni).
Per non parlare dell’impoverimento del suolo e del paesaggio: Italia Nostra ricorda l’inquinamento nel sottosuolo dovuto alle sostanze chimiche “coperte dal segreto industriale”, i traccianti radioattivi per favorire l’ingresso delle trivelle e i rischi geologici e sismici.
Sempre Italia Nostra indica nella competizione tra petrolio e acqua la sfida per il futuro di questa bellissima terra. La regione, infatti, costituisce il più grande serbatoio idrico dell’Italia centromeridionale e ospita la diga in terra battuta più grande d’Europa, monte Cutugno. Per ogni litro di petrolio ne occorrono otto d’acqua e dieci litri di sostanze inquinanti vengono rimesse nell’ambiente. Così, nell’invaso del Pertusillo che fornisce acqua a milioni di abitanti tra Basilicata, Puglia, Calabria e Campania, da alcuni anni si registra una ciclica moria di pesci collegata, secondo le indagini consultate da Italia Nostra, alla proprio allo sfruttamento del petrolio.
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