Fukushima oggi, un viaggio di rinascita tra i suoi abitanti

Famiglie, contadini, imprenditori. Chi non se n’è mai andato da Fukushima e chi non può tornarci. Queste sono le storie degli abitanti che cercano di costruirsi un futuro dopo cinque lunghi anni.

La gente che vive nella prefettura di Fukushima è motivata, piena di risorse e pronta a rialzarsi. Non è in preda alla disperazione e all’abbandono. Mentre il resto del mondo non riesce a dimenticare le immagini delle esplosioni della centrale nucleare di Fukushima Daiichi e continua a temere il diffondersi di radiazioni per via aerea o marina, la maggior parte dei residenti è più proiettata al futuro. Un viaggio a Fukushima per incontrare i contadini, i produttori di cibo e i ristoratori a distanza di anni dal terremoto, dallo tsunami e dal disastro nucleare che hanno sconvolto il Giappone nel marzo del 2011.

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Fukushima oggi: storie, sfide, speranze

La vera preoccupazione degli abitanti di Fukushima oggi è l’appetibilità dei propri prodotti indipendentemente dal fatto che i rischi per la sicurezza siano reali o meno. La presenza nel terreno e nell’acqua di sostanze radioattive come il cesio-137 e -134 e lo iodio-131 comporta gravi problemi alla salute, tra cui un maggiore rischio di contrarre il cancro. Ma la gente del posto lancia un messaggio rassicurante: le ispezioni sono sistematiche e i livelli delle radiazioni non superano i limiti previsti dalla legge giapponese. Un chilo di cibi generici (esclusi prodotti specifici come il latte per neonati) non può contenere più di 100 becquerel (Bq) di cesio-137, mentre nell’Unione europea il limite è di 600 e negli Stati Uniti di 1.200.

fukushima oggi
Le aree barrate sono quelle visitate. Le città e i villaggi delle persone di cui abbiamo raccontato la storia in questo articolo sono tracciate in rosso.

Al di là delle polemiche su come il disastro fosse evitabile, del rapporto morboso tra l’autorità giapponese per l’energia e la Tepco (la società che gestisce la centrale di Fukushima Daiichi) e della rabbia di alcuni cittadini per la volontà del governo di continuare a investire nel nucleare, ci sono le persone. Gente coraggiosa e intelligente che lavora sodo non solo per sopravvivere a una tragedia, ma anche per ricostruire qualcosa di nuovo dalle ceneri del disastro. Eccone alcuni.

Miwako Tatsuhiro Ono gente di fukushima
Miwako (a sinistra) e Tatsuhiro Ono (a destra) sono coltivatori di riso e pomodori © Massimo Colombo

Tatsuhiro and Miwako Ono, coltivatori di riso e pomodori

A Fukushima ci sono più di 150 sorgenti termali, dette “onsen” in giapponese. Il turismo non è più una fetta importante dell’economia della prefettura come lo era prima del terremoto, ma comunque in città come Nihonmatsu approdano ricercatori che ispezionano il livello di radioattività. Siamo a 50 chilometri da Fukushima Daiichi, appena fuori dalla zona di evacuazione, dove i venti di nordovest trasportano le radiazioni dalla centrale. Qui si può approfittare dell’ospitalità calda e generosa di contadini del luogo, come Tatsuhiro e Miwako Ono.

Gli Ono un tempo coltivavano funghi, ma hanno dovuto smettere a causa della contaminazione. Ci hanno mostrato le immagini del raccolto abbondante del marzo del 2011 che hanno dovuto buttare: la torre di sacchetti di plastica ricorda i sacchi di terreno contaminato ammucchiati per tutta Fukushima (sono circa 10 milioni in totale). Questi sacchi rappresentano l’impegno del governo di ridurre i livelli di radiazioni negli spazi aperti a 1 millisievert (mSv) all’anno – in condizioni normali siamo esposti al doppio delle radiazioni – attraverso la rimozione dello strato superficiale del terreno. Resta ancora da decidere che ne sarà di tutta la terra raccolta.

Molte cose sono cambiate dal 2011. Gli Ono ora coltivano pomodori in serre che si trovano su una collina dietro casa e riso nelle risaie davanti. Ai margini delle risaie c’è la zeolite, un minerale che disintossica il terreno dai metalli pesanti, e il cloruro di potassio, che viene assorbito dalle piante al posto del cesio. Grazie a un accordo tra i contadini del luogo, tutti i prodotti sono coltivati biologicamente, come quelli degli appezzamenti adiacenti. Pannelli solari ricoprono il tetto e gli Ono non mancano di sottolineare che vorrebbero raggiungere l’indipendenza energetica, cosa comprensibile per gli abitanti di Fukushima, i cui mezzi di sostentamento sono stati distrutti dalla pioggia radioattiva proveniente dalla centrale.

Masatoshi Muto gente di fukushima
Masatoshi Muto, segretario generale della ong Yuukino Sato Towa © Massimo Colombo

Masatoshi Muto, segretario generale dell’ong Yuukino Sato Towa

L’ong dà sostegno agli Ono e ad altri contadini di Nihonmatsu nello sviluppo dell’agricoltura biologica e di piccole pensioni a conduzione familiare, incarnando lo spirito d’azione comunitario che lega molti abitanti di Fukushima. Il governo è costretto dalla legge a decontaminare le aree dove i livelli di radiazione superano i 20 mSv all’anno, ma, altrimenti, le comunità sono obbligate a cavarsela da sole, con la possibilità di presentare un reclamo alla Tepco. Le radiazioni hanno toccato la vita di tutti gli abitanti della prefettura, ma non tutti hanno lo stesso tipo di aiuto dal governo, che l’anno prossimo sospenderà l’assistenza. Una linea invisibile e arbitraria divide quelli che possono sporgere reclami, ad esempio le persone che vivono nelle zone di evacuazione ufficiali, e quelli che non possono.

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Motohiri Seki, amministratore delegato di Nanakusa Brewery, che si serve dei prodotti coltivati a Nihonmatsu per produrre vino, sidro e sakè © Massimo Colombo

Yuukino Sato Towa ha organizzato operazioni di monitoraggio e pulizia a Nihonmatsu con il sostegno economico della Tepco. A partire da maggio del 2011, la ong ha coordinato opere di monitoraggio dei livelli di radiazione di molti prodotti locali per un totale di 9mila beni controllati. L’obiettivo principale della società è quello di promuovere l’agricoltura biologica, spiega il segretario generale Masatoshi Muto. È un modo di incentivare pratiche sostenibili e “pulite” e allo stesso tempo di valorizzare i prodotti di Nihonmatsu, che si possono acquistare in negozi locali e online.

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Maya Kaneko, ingegnera presso KiMiDori Inc. © Massimo Colombo

Maya Kaneko, ingegnera presso KiMiDori Inc.

Luci led viola mascherano il verde sgargiante dei mucchi di foglie di vegetali come la lattuga e il basilico. Ecco KiMiDori Inc., il complesso di coltivazione idroponica più grande del Giappone. L’agricoltura idroponica fa affidamento sui nutrienti minerali dissolti in acqua invece che quelli presenti nella terra. Nel 2013 è stato aperto nel villaggio di Kawauchi – la cui popolazione prima del terremoto era costituita da circa 2.500 persone mentre ora ne conta 1.700 – con lo scopo di dare lavoro ai residenti tornati dopo che l’ordine di evacuazione è stato annullato l’anno successivo. La comunità ha fondato l’impresa con il sostegno del governo e ha scelto l’agricoltura idroponica per evitare di usare terra potenzialmente contaminata.

KiMiDori da lavoro a 25 dipendenti, alcuni dei quali sono ex operai della centrale di Fukushima Daiichi. Il presidente Masakazu Hayakawa e l’ingegnera Maya Kaneko si sono spostati dalla capitale Tokyo, che si trova a circa 250 chilometri di distanza, per lavorare qui. 8mila sacchi di insalata e circa 220 chili di ortaggi da foglia sono prodotti ogni giorno e sono venduti in ristoranti e supermercati locali. Con un ordine imponente di 100 chili da una catena di negozi di Tokyo, l’impresa è pronta per espandersi e assumere più dipendenti.

Kiyoshige Sugiuchi
Kiyoshige Sugiuchi, presidente del Canola Flower Project © Massimo Colombo

Kiyoshige Sugiuchi, presidente del Canola Flower Project

Minamisōma è una città costiera che dista solo 20 chilometri da Fukushima Daiichi, dove il terremoto e lo tsunami di Tōhoku, come viene chiamato in Giappone, ha causato la morte di 469 persone. È diventato il simbolo della distruzione causata dal disastro dopo che il sindaco Katsunobu Sakurai ha postato su Youtube un video diffuso in tutto il mondo, spingeno la rivista americana Time a inserire Sakurai nella lista delle 100 persone più influenti del 2011. La città, che un tempo accoglieva 71mila persone, attualmente ha una popolazione di 57mila persone. È la sede di un progetto di ricerca avviato in collaborazione con le università di Fukushima e Niigata che prevede la coltivazione di una decina di risaie con metodi differenti per capire come attenuare l’assorbimento di cesio radioattivo da parte delle colture. Questo progetto fa parte dell’iniziativa per il rinnovamento dei terreni coltivati di Minamisōma.

Il presidente, Kiyoshige Sugiuchi, è anche a capo del Canola flower project che ha sede sul confine della zona di evacuazione. In quella che una volta era una risaia abbandonato dopo terremoto. Ora questi 35 ettari di terra sono coltivati a colza, da cui viene estratto un olio che porta il marchio Yuna-chan, usato anche per produrre maionese. Sugiuchi spiega che anche se la pianta assorbe il cesio, quest’ultimo non si trova nel prodotto finale perché non si dissolve nell’olio. L’azienda produce anche il sapone Tsunagaru Omoi in collaborazione con la filiale giapponese del marchio di cosmetici Lush. Per Sugiuchi coltivare la colza significa piantare i semi per costruire il futuro di Fukushima. Significa rendere i prodotti della prefettura di nuovo commerciabili in un’area dove il business ha affrontato enormi ostacoli negli ultimi cinque anni, offrendo lavoro ai giovani, molti dei quali, finora, non sono tornati per mancanza di prospettiva.

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Shigeru Ide, chef presso il ristorante Soba Shubo Tenzan © Massimo Colombo

Shigeru Ide, chef presso il ristorante Soba Shubo Tenzan

Un piatto di noodle inaka-soba, “alla paesana”, fatti di grano saraceno (soba) prodotto localmente, serviti freddi, inzuppati nel brodo dashi con bonito. Una volta finiti i noodle, si versa nel brodo il sobayu, l’acqua in cui sono stati cotti, e si sorseggia, lasciandosi avvolgere dal sapore caldo e salato.

I noodle sono fatti a mano dallo chef Shigeru Ide tornato nel villaggio – siamo sempre a Kawauchi, a pochi campi di distanza da KiMiDori – appena un mese dopo il terremoto. Spiega che la soba era il secondo prodotto più coltivato a Fukushima prima del disastro. Ora, cinque anni dopo, la produzione è calata a picco e il ristorante serve il 70 per cento dei clienti rispetto a prima. Per contro, assistiamo a una rivisitazione dell’antica tradizione della coltivazione di soba, risalente al periodo pre-Edo (anteriore al 1600), che serve a diversificare la produzione e, si spera, ad attirare nuovi clienti. Infatti si possono sgranocchiare delle galette francesi di soba mentre si sorseggia una birra, sempre di soba, bella fresca e un po’ pepata.

Shigeru Yamazawa
Shigeru Yamazawa, proprietario del ristorante Urashima Sushi © Massimo Colombo

Shigeru Yamazawa, proprietario del ristorante Urashima Sushi

Il pesce che viene servito viene dalla vicina prefettura di Miyagi. Eppure per quasi tutti i quarant’anni di servizio il ristorante ha fatto affidamento sulla pesca al largo della costa di Fukushima, che oggi non è più possibile a causa del riversamento di radiazioni nell’oceano che desta continue preoccupazioni sulla radioattività del pesce. Il proprietario del ristorante, Yamazawa Shigeru, è un vero guru del sushi. È stato uno dei primi cuochi (itamae) giapponesi a portare questa prelibatezza in Europa. Qui, a Odaka, l’unica zona nella città di Minamisōma dove l’ordine di evacuazione non è stato rimosso (questo è previsto per il 12 luglio), i clienti principali del ristorante sono coloro che conducono i lavori di decontaminazione, da quando il ristorante è tornato in attività a inizio 2016.

Con uno sguardo severo Yamazawa rivive il giorno del terremoto. Tremava tutto e la gente si riversava nelle strade. Lui ha lasciato Fukushima, insicuro su ciò che stava per accadere. Da quando è tornato e ha riaperto il ristorante con suo figlio, si è rimesso a preparare del sushi delizioso, fiducioso del fatto che, grazie all’aiuto della gente del posto, Urashima Sushi manterrà gli standard di eccellenza culinaria per cui è sempre stato rinomato.

Yuko Hirohata gente di fukushima
Yuko Hirohata, cofondatrice del giornale Odaka Platform © Massimo Colombo

Yuko Hirohata, cofondatrice del giornale Odaka Platform

Yuko Hirohata ha fondato un giornale locale, l’Odaka Platform, per tenere informati i residenti sulla condizione della loro città. La fondatrice dice che è importante dare queste informazioni perché è tutto in continuo e rapido mutamento. È cambiato tutto a tal punto che quelli che sono tornati a Odaka non dovrebbero essere definiti “rimpatriati”, secondo lei, perché il posto che hanno lasciato non è più lo stesso. Al contrario, dobbiamo considerarla gente che “sceglie” di vivere qui.

Lei, come altra gente che vive a Fukushima, vuole che l’area diventi sinonimo di speranza. Il parallelo con Hiroshima e Nagasaki è forte. Le due città, devastate dalla bomba atomica che ha accelerato la resa del Giappone durante la Seconda guerra mondiale, ora costituiscono un simbolo di pace. La sfida per i residenti di Fukushima è di cambiare la percezione che il mondo ha della loro prefettura, da posto che evoca fatalismo e paura, a posto che ispira resilienza e rinnovamento. A prescindere da cosa si possa pensare sul motivo per cui tutto questo è successo e se quello che è stato fatto per evitarlo è abbastanza, la gente di Fukushima merita che le proprie storie siano raccontate, e ascoltate.

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